SIR, CReI e Associazioni Pazienti seduti a un tavolo di concertazione
Lunedi 27 Novembre 2017
Nell’ambito del 54° Congresso Nazionale della SIR si sono riuniti a un tavolo le due società scientifiche SIR, CReI e le associazioni pazienti per discutere dell’importanza di trovare quanto prima una strategia condivisa. Per essere sempre più coesi di fronte agli interlocutori istituzionali e arrivare a un dunque migliorativo della situazione attuale. Tanti i temi messi sul tavolo, a partire dalla libertà prescrittiva dei medici, dall’adozione dei PDTA da parte delle Regioni, e dal dare al territorio più specialisti reumatologi per offrire manforte alla diagnosi precoce, e per difendere la presenza di un’unità di Reumatologia negli Ospedali. Perché una branca così importante della medicina può rischiare anche la chiusura: il caso della Sicilia docet. Sì, ma in concreto da dove si inizia?
Solo metà dei pazienti che ne avrebbero bisogno riesce ad accedere ai farmaci biologici. Eppure, stando ai dati, queste terapie hanno apportato grossi benefici alla gestione del quotidiano dei malati e rappresentano in tempi medi un’opportunità di risparmio per il sistema sanitario. «Basti pensare che un ricovero di 10 giorni ha lo stesso impatto economico di una terapia biologica per un anno. La prescrizione dei biologici solo per la metà dei pazienti che ne avrebbe bisogno è la conseguenza di scelte locali e nazionali sbagliate e anacronistiche. Il caso della Toscana, per esempio, impone ai clinici la scelta del farmaco biosimilare, meno caro rispetto al biologico. Ma non è così che si risparmia. Per avere un supporto scientifico a quanto stiamo affermando, stiamo lavorando con i farmaco-economisti», osserva Mauro Galeazzi, Presidente SIR. Di fronte all’evidenza, allora, la prima proposta della SIR è l’istituzione di un fondo per i farmaci biologici, «che servirà non solo a garantire le terapie attuali ma anche a rendere disponibili quelle che arriveranno», continua Galeazzi, oltre che una rete di reumatologi capaci di offrire una sempre più tempestiva diagnosi precoce.
Le criticità da mettere sul tavolo, però, non si esauriscono qui. «Pur riconoscendo l’importanza della terapia con i farmaci biologici come un fattore importantissimo e da portare quanto prima all’attenzione dei decisori istituzionali, credo che sia fondamentale creare al contempo una sovrastruttura che possa rappresentare l’articolato mondo della reumatologia, come potrebbe esserlo una federazione», afferma Stefano Stisi, Presidente del CReI, il Collegio Reumatologi Italiani. «Concordo con Mauro Galeazzi che abbiamo bisogno di fare sentire una voce unica, per non essere male interpretati dalle istituzioni, dalle Regioni, dalle Aziende Sanitarie, e per dare più forza alle nostre istanze. Per motivi di ordine meramente economico, oggi, i nostri pazienti subiscono un calpestio di diritti che fa molto rumore. E che fa male, sia a noi medici che ci occupiamo della cura sia a chi ogni giorno convive con la malattia». Stisi, quindi, propone in metafora calcistica all’attenzione dei partecipanti una strategia in attacco che permetta di arrivare in porta e di fare goal, anziché una strategia in difesa come a suo avviso è stata condotta fino a questo a momento: «I giovani reumatologi vanno all’estero, e il perché è palese. Abbiamo bisogno di più professionisti, di formarli e di renderli in grado di operare sui territori, accanto ai malati. Dovremmo prendere a modello realtà come la Gran Bretagna, dove attraverso politiche di saturazione dei fabbisogni e di adattamento alle richieste della modernità medica si è giunti ad un rapporto di un reumatologo full time ogni 120.000 abitanti. In Italia siamo molto lontano da queste politiche e da questi numeri e soprattutto percepiamo di andare avanti senza nessuna progettazione, si naviga a vista, o meglio alla cieca. Ciò danneggia tutti, anche la Reumatologia che, sebbene sia una branca tra le più moderne della medicina, rischia di sparire dal territorio e dagli ospedali. Dobbiamo rafforzare la rete, con azioni mirate al benessere delle persone, con la presenza di esperti qualificati sul territorio. Solo così potremo fare prevenzione e diagnosi precoce con maggiore tempestività. E questo inizia con un lavoro fatto concordemente alle Università, la matrice da cui siamo originati tutti».
La parola passa a Silvia Tonolo, Presidente ANMAR, Associazione nazionale malati reumatici, che ricorda le battaglie fatte in Toscana e in Sicilia. «È necessaria la condivisione di un obiettivo, che può essere declinato all’interno del tavolo in base alle esigenze dei malati e dei medici. Il paziente ha necessità che ci siano i farmaci che lo aiutino a stare meglio, che ci siano i reumatologi che lo seguano, i fisioterapisti esperti capaci di trattare la sua patologia. I pazienti convivono con la malattia e hanno informazioni che sfuggono sia ai clinici sia agli universitari. Insieme, invece, possiamo trovare un punto che ci unisca con cui potere arrivare all’attenzione delle autorità. Certo, non è facile collaborare, non lo è nemmeno in una famiglia tante volte, ma il confronto serve a questo: a crescere. E noi siamo pronti a farlo».
D’accordo sulla condivisione di un obiettivo e sul fare fronte comune è anche Antonella Celano, presidente APMAR, Associazione persone con malattie reumatiche.
Guerrina Filippi, presidente di A.M.R.E.R., l’Associazione malati reumatici Emilia Romagna, molto accalorata, premette che condivide tutti i discorsi. Ma c’è un però, che vuole mettere in chiaro fin da subito: «Come vogliamo arrivare a tutti gli obiettivi che stanno emergendo? Dovremmo imparare a combattere insieme, le battaglie hanno più forza se le si fanno uniti. Il caso della Sicilia avrebbe potuto coinvolgerci, noi siamo sempre pronti a stare dalla parte del malato. Ma dobbiamo trovare un metodo condiviso, per attuare tutte le cose che stiamo dicendo, e darci dei tempi di preavviso affinché possiamo essere tutti presenti». Il tavolo di discussione si è dato un nuovo appuntamento a gennaio.