Covid-19 e malati reumatici: 3 su 4 costretti a rimandare visite
Martedi 26 Maggio 2020
Redazione
Il 61% delle persone affette da patologie reumatologiche sono preoccupate e/o molto preoccupate per gli effetti provocati dall’emergenza COVID-19, con impatti negativi sul proprio stato d’animo (aumento dell’irritabilità, disturbi dell’appetito, riduzione della qualità del sonno). Una persona su tre non è soddisfatta del supporto fornito dal proprio medico di famiglia in questo periodo di emergenza e tre su quattro (76%) hanno dovuto rimandare visite specialistiche e di controllo legate nella quasi totalità dei casi (88%) alla patologia. Addirittura quasi uno su 4 (22%) pensa che non tornerà mai più sereno come prima dell’arrivo della pandemia. Sono questi alcuni dei risultati principali emersi dalla survey “Le patologie reumatologiche e Covid-19”, realizzata dall’Osservatorio dell’Associazione Nazionale Persone con Malattie Reumatologiche e Rare (APMARR) in collaborazione con Helaglobe, presentati nel corso di un webinar online.
“Per una persona affetta da patologie croniche – racconta Antonella Celano, presidente dell’Associazione Nazionale Persone con Malattie Reumatologiche e Rare APMARR - risulta essere quasi un ossimoro quello di aver dovuto interrompere, da un momento all’altro a causa della pandemia, la malattia cronica con la sospensione dei controlli , delle visite ospedaliere e della possibilità di avere diagnosi precoci. La malattia, infatti, non si ferma a causa del coronavirus e ci sono prestazioni e terapie che non possono essere considerate “differibili” con l’inevitabile effetto di un peggioramento del quadro clinico che provoca un incremento dei costi sanitari e sociali. Il nostro Servizio Sanitario Nazionale dovrebbe essere a misura di paziente garantendo l’accesso, la presa in carico, le cure territoriali, la continuità assistenziale tra ospedale e territorio, la riabilitazione, l’assistenza domiciliare, senza differenze tra Regioni. Da questa emergenza, dalla necessità di dare risposte concrete e in tempi brevi alle persone, potrà essere messa in pratica la tanto spesso teorizzata continuità ospedale-territorio e lo sviluppo di una rete di sostegno sanitaria, assistenziale, sociale. In questo senso la telemedicina è certamente uno strumento innovativo che potrebbe aiutarci a superare tutti questi bisogni insoddisfatti di salute e cura”.
“Dalla ricerca emerge molto forte il tema della fragilità per le persone affette da patologie croniche – dichiara Davide Cafiero, Managing Director e partner fondatore di Helaglobe, autore della ricerca. A livello più intimo l’emergenza desta preoccupazione nel 60% dei casi e una delle possibili soluzioni per affrontare il problema potrebbe essere quella di garantire ai pazienti un supporto emotivo e psicologico. Malgrado i pochi casi di difficoltà a seguire il piano terapeutico (12%), circa la metà delle persone sarebbe interessata a ricevere un servizio di infusione/somministrazione domiciliare. L’assenza di percorsi di accesso alle cure facilitati e di indicazioni per l’emergenza, indicata nel 68% dei casi, certifica poi la scarsa capacità dei centri ospedalieri di modificare rapidamente la loro offerta, lasciando così spesso solo il paziente. Efficace invece il supporto fornito dalle Associazioni Pazienti, le quali però dovranno certamente incrementare il numero degli assistiti: 3 persone su 5 infatti hanno dichiarato di non avere contatti con loro. La survey - conclude Cafiero - evidenzia certamente un cauto ottimismo per il futuro, con la voglia di apprezzare maggiormente la vita, dedicando un’attenzione particolare alla salute”.
L’onorevole Sandra Zampa, sottosegretario alla Salute, ha inviato un suo messaggio di saluto: “Questa pandemia COVID-19 ha avuto un impatto molto severo sul paese, mettendo in grandi difficoltà tutti i cittadini e non risparmiando il sistema sanitario, messo a dura prova dall’emergenza, con conseguenze e ricadute che sono andate a ripercuotersi anche su pazienti già particolarmente fragili come sono le persone affette da patologie reumatologiche e croniche. Proprio in virtù di questo e della necessità di ripartire nel modo migliore, l’occasione di oggi assume tutta la sua rilevanza. In un momento quanto mai critico e delicato come quello della appena iniziata Fase 2, è importante confrontarsi per trovare insieme strade ed indirizzi comuni che rendano possibile assicurare comunque la presa in carico di ogni persona per le cure di cui ha bisogno”.
Per poter soddisfare pienamente quelle che sono le esigenze e i bisogni delle persone affette da patologie croniche è necessario riuscire a creare e sviluppare una sinergia forte tra tutti i livelli (istituzionale, clinico, dei pazienti) a partire da un rafforzamento del Piano Nazionale della Cronicità, sottoscritto nel 2016, ma ancora lontano da una piena e omogenea attuazione sull’intero territorio nazionale: “Il Piano Nazionale della Cronicità esiste da quattro anni – spiega Paola Boldrini, senatrice, Componente XII Commissione Igiene e Sanità - ma come tutti i piani è necessario poi che venga applicato in maniera omogenea su tutto il territorio nazionale, rafforzandolo e riducendo al minimo le differenze di applicazione che tuttora esistono tra le Regioni. In futuro per poter soddisfare quelli che sono i bisogni delle persone affette da malattie croniche è necessario potenziare l’assistenza territoriale, la medicina del territorio e la telemedicina”.
D’accordo su questo punto anche l’onorevole Elvira Savino, Componente XIV Commissione Politiche dell’Unione Europea: “L’emergenza Coronavirus ha acuito ancor di più la fragilità fisica e psicologica dei pazienti con la frustrazione, per loro, di non poter avere un contatto fisico e diretto con il proprio medico curante. Esiste dunque la necessità per il nostro Servizio Sanitario Nazionale di orientarsi sempre più verso la telemedicina e la telesalute, strumenti fondamentali e da implementare, facilitando così l’accesso alle cure dei pazienti cronici e garantendo loro una diagnosi precoce. È indifferibile poi l’avvio di un processo di revisione ed estensione del Piano Nazionale della Cronicità”.
Durante l’emergenza sanitaria i pazienti cronici si sono ritrovati spesso soli, lontani dal proprio medico curante e senza alcuna possibilità di accesso alle strutture ospedaliere come racconta Roberto Caporali, reumatologo, Direttore della Unità Operativa Complessa di Reumatologia Clinica dell'ASST Gaetano Pini -CTO di Milano e professore di reumatologia presso il Dipartimento di scienze cliniche e di comunità dell’Università di Milano: “In questa fase emergenziale il problema più grosso per noi reumatologi, oltre alla sospensione delle cronicità, è stato quello di non poter fare o dover ritardare le diagnosi precoci della malattia. Nelle patologie croniche infatti è fondamentale individuare subito l’insorgenza della malattia per poter così intervenire tempestivamente e invece, causa pandemia, molti pazienti con artrite reumatoide in fase precoce non sono riusciti ad arrivare in ospedale ed ecco perché, nella fase 2, dobbiamo assolutamente riprendere, in piena sicurezza, tutte le visite sospese. La telemedicina infatti è importante ma da sola non basta, rimane necessario il contatto diretto e fisico tra medico e paziente”.
“Dematerializzazione delle ricette, telemedicina, teleconsulto, triage telefonico sono stati certamente degli strumenti utili per noi medici in questa fase d’emergenza – spiega Fabrizio De Benedetti, pediatra reumatologo, responsabile Unità Operativa di Reumatologia, Dipartimento di Medicina Pediatrica IRCCS Ospedale Bambino Gesù di Roma – ma un paziente malato acuto va visto di persona e soprattutto va visto in tempi brevi. Noi corriamo anche dei rischi legali a fidarci troppo di questi consulti a distanza mediati dalla tecnologia, dobbiamo renderli appropriati e obiettivabili. Non è possibile pensare solo alla Covid-19, questa prima o poi finirà e la medicina, la scienza e la ricerca sono un insieme di tante cose e il loro futuro va pensato e organizzato adesso, utilizzando e riorganizzando al meglio le risorse disponibili. Dobbiamo poi combattere in ogni modo il dilagare dell’infodemia e delle fake news educando i cittadini a consultare, quale principale fonte d’informazione, i siti istituzionali”.
Il futuro per i pazienti cronici è adesso e lo strumento ideale per affrontarlo è la telemedicina secondo il prof. Sergio Pillon, angiologo, European Public Health Alliance- Digital Health Working Group, già coautore e Coordinatore della Commissione Paritetica Nazionale per la governance delle linee d’indirizzo sulla Telemedicina (Ministero della Salute, Conferenza Stato-Regioni): “Il problema qui non è la tecnologia ma serve riuscire a rispondere alla domanda di quale sia la linea di condotta più adeguata per un particolare paziente, in queste condizioni e in questa fase della malattia. La telemedicina non è l’obiettivo ma è lo strumento, è il nostro stetoscopio attraverso il quale è possibile acquisire dati anche direttamente a casa del paziente, leggendoli e osservandoli. In Italia esistono dal 2014 delle Linee guida nazionali sulla telemedicina ma al momento soltanto due Regioni (Veneto e Toscana) le hanno recepite con delle delibere e nemmeno in maniera omogenea tra loro. La telemedicina offre delle opportunità che vanno assolutamente sfruttate”.