APMARR e ANMAR sulla survey CReI: «Dobbiamo essere uniti per ripensare l'offerta assistenziale ai malati reumatologici»
Giovedi 16 Aprile 2020
Antonella De Minico
L’emergenza sanitaria che stiamo fronteggiando sta facendo salire anche il termometro della rabbia. Alcune scelte fatte in ambito sanitario nel corso degli anni, come i tagli in nome di una spending review che avrebbe dovuto apportare millantati benefici al sistema per renderlo più funzionale (per chi non si è ancora capito) e snello (?), si sono rivelate catastrofiche. Con la pandemia che stiamo fronteggiando, ormai è (o perlomeno dovrebbe esserlo) chiaro che il SSN è una risorsa che non va tagliata ma alimentata. Con criterio, e sentendo le voci di tutti gli operatori che se ne occupano e che hanno fatto sì che, nonostante tutte le difficoltà, i nostri centri di cura ospedalieri e territoriali fossero considerati un esempio non solo nel nostro Paese, ma nel mondo. La survey CReI che ha condotto un’indagine conoscitiva su un campione di 14 ospedali situati nelle aree del Nord, Centro e Sud del Paese, isole comprese, ha fatto emergere anche possibili nuove difficoltà che rischierebbero di sovrapporsi a quelle già esistenti, concentrando l’attenzione sulla situazione della Reumatologia e dell’assistenza ai pazienti. Mettendo in luce, inoltre, che molti dei reumatologi sono stati impiegati in forze ai reparti Covid. Abbiamo chiesto le impressioni su quanto emerso dai dati CReI a Antonella Celano, presidente di APMARR, Associazione nazionale persone con malattie reumatologiche e rare, e a Silvia Tonolo, presidente ANMAR, Associazione nazionale malati reumatici.
Da quanto emerge dalla survey CReI, a seguito della pandemia da Covid, l’assistenza reumatologica cambierà. Come accoglie questa notizia? Che scenario immagina per il futuro dei pazienti reumatologici?
Antonella Celano. Potrebbe essere anche un cambiamento in meglio. Ma per quello che è lo scenario attuale e per le scelte fatte in precedenza, questa notizia non si può accogliere benissimo a un primo impatto. La Reumatologia già da tempo è sofferente: abbiamo lavorato sinergicamente negli anni affinché questa specialità avesse una propria dignità. Ma pur avendo dato il nostro contributo in questa direzione, negli ultimi anni abbiamo visto scene poco piacevoli. Mi riferisco a pensionamenti di persone che non sono mai state sostituite, alle mille difficoltà di una sanità regionalizzata, al commissariamento di alcune Regioni, al blocco del turn over infinto dei medici e alle conseguenti mancate assunzioni del personale. L’effetto è che gli ambulatori sono diventati centri sguarniti. Per noi, pazienti reumatici e cronici, la Reumatologia è importantissima, ma in molte realtà la stanno accorpando ai reparti di Medicina. La figura del reumatologo, essenziale per avere una diagnosi alle nostre malattie, spesso viene consultata dopo aver sentito il parere di altri specialisti. La Reumatologia non ha ancora la visibilità e la considerazione che dovrebbe avere. O meglio, ce l’ha per noi pazienti ma non per il decisore politico. Lo scenario in sanità cambierà senz’altro dopo questa pandemia, e non solo per la Reumatologia, ma se si riuscirà a organizzarlo in meglio noi pazienti ne saremo felici. Perché questo accada, però, dovremmo essere tutti coinvolti in questa riorganizzazione, che necessariamente dovrà essere fatta. Bisognerà portare anche le nostre esperienze, le nostre idee per non fare mancare l’assistenza ai pazienti.
Silvia Tonolo. Accolgo la notizia sia in senso positivo che negativo. Se si contempla la possibilità che il futuro rapporto medico paziente sarà basato sulla telemedicina riservando il contatto de visu ai momenti di acuzie, di remissione, di gestione delle comorbilità o di specifiche necessità del malato allora ne sono felice. Per la cronicità, la telemedicina potrebbe essere una soluzione. La nota negativa sta nella burocrazia del sistema: implementare una telemedicina efficiente potrebbe essere un’utopia, o quanto meno una possibilità molto remota. Soffermiamoci su quello che sta succedendo durante questa emergenza: i pazienti cronici avevano un bisogno immediato di sapere se potevano mantenere la stessa terapia, se avrebbero continuato a trovare i farmaci, e di gestire una serie di complicanze di non poco conto, come il sapere se potevano stare a casa dal lavoro oppure no, vista la loro condizione di fragilità in alcuni casi. E cos’è successo? Sono stati emanati provvedimenti che a tutt’oggi non sono chiari. Si passano la palla tra un Ministero e l’altro e non si sa ancora come mettere bene in sicurezza i pazienti. Poi, molti dei reumatologi sono stati arruolati nei reparti Covid, dovendo loro malgrado abbandonare la parte della reumatologia in senso stretto. Se lo scenario è questo, la vedo dura. Per riqualificare il sistema e offrire maggiori sicurezze e tutele ai pazienti e ai medici, bisognerebbe fare un’azione congiunta da parte di tutte le Associazioni pazienti assieme alle Società scientifiche, con una condivisione di obiettivi chiari. Ma, ripeto, questa burocrazia mette a dura prova tutti, medici e pazienti, rischiando di fare saltare tutto il sistema.
2. Già prima dell’emergenza sanitaria erano stati fatti importanti tagli importanti al SSN, con ripercussioni anche sull’offerta ai pazienti. Se vi fosse una ulteriore riduzione dell’offerta assistenziale del servizio pubblico, senza interromperla mai completamente come emerge dai dati, come reagirebbero le Associazioni Pazienti?
Antonella Celano. Le Associazioni Pazienti negli ultimi anni sono diventate propositive e non rivendicative. Lo sottolineo perché non vorremmo dover tornare a rivendicare un diritto, l’assistenza, sancito dalla Costituzione. Noi vogliamo continuare a essere propositivi e ci auguriamo che i tagli non ci siano e se dovessero esserci che non siano tali da impedire ai pazienti di curarsi. Invitiamo chi di dovere a fare riflessioni in merito e ad accogliere le nostre: prima di pensare a sforbiciare ulteriormente una sanità già sofferente, bisognerebbe riorganizzare il servizio sanitario nazionale che soffre di una inappropriatezza organizzativa da tempo. Il SSN dovrebbe diventare di nuovo unico, e non continuare a essere regionalizzato. Lo vediamo tutti: c’è una sanità di serie A e una di serie B. Ci sono Regioni più ricche di altre, e altre invece costrette in un piano di rientro cronico, continuamente in affanno. Ci mettiamo anche che ieri (14 aprile, ndr) è uscita una sentenza della Corte Costituzionale che dichiara illegittime due disposizioni della legge della Regione siciliana, la n. 8/2018, che prevedevano un’utilizzazione diversa dei fondi rispetto allo scopo di finanziare i livelli essenziali di assistenza sanitaria e ospedaliera. Cioè, la Regione Sicilia, che è a statuto speciale, per offrire ai propri cittadini quanto previsto nei LEA è dovuta finire davanti a un giudice. Vogliamo continuare così? La nostra sanità è stata vittima di tagli e le conseguenze le abbiamo toccate tutti con mano, e ancor di più ora, durante l’emergenza sanitaria. Le persone dicono che i medici sono degli eroi, i decisori non perdono occasione di ringraziarli per il compito importante che stanno svolgendo. Peccato che fino a un mese fa, prima del Covid, venivano aggrediti dai cittadini, magari gli stessi che oggi dicono che sono degli eroi, e che i tagli alla sanità sono stati fatti dai decisori che dicono che hanno un compito importante mentre dimostravano di non saper offrire loro nemmeno uno straccio di mascherina. Le Associazioni pazienti cosa farebbero? Più che fare previsioni, sono abituata a parlare su fatti concreti. Bisognerebbe vedere quali saranno realmente gli scenari che si andranno a configurare, comunque sia non assisteremmo ai fatti passivamente. Le Associazioni dovrebbero lavorare tutte insieme senza divisione, anche in maniera trasversale, insieme alle Società scientifiche.
Silvia Tonolo. Le Associazioni pazienti scoppierebbero di fronte a una realtà del genere. Sono già stati tagliati 37mld alla sanità nel corso degli anni passati, senza che nessuno ammetta di averlo fatto. Ma ci sono dati accreditati che lo raccontano, come quelli del GIMBE in cui viene analizzato quanto fatto dai Governi in questa direzione. I tagli, poi, non sono mai stati fatti in modo uniforme, non hanno mai tenuto conto di tutti tavoli di lavoro, delle delibere, e nemmeno di quanto era stato approvato per implementare il Piano Nazionale delle Cronicità. Il PNC, messo in piedi 3 o 4 fa, tengo a precisare che è stato stravolto unicamente dalla Lombardia. Lo dimostra anche come è gestito il territorio durante questa pandemia: se manca il territorio, la cronicità non può essere gestita. Se manca il territorio vuol dire che l’unico punto di riferimento per i pazienti sono i Policlinici e gli Hub, mentre sono gli spoke, gli ambulatori territoriali, che gestiscono la cronicità. In un momento di emergenza come questo, se fosse stato davvero attuato il PNC come si doveva, il medico di medicina generale sarebbe stato davvero il tramite tra me, paziente, e lo specialista. Ora, però, lo specialista è impiegato a gestire l’emergenza Covid. Ma i tagli di cui sopra, sono stati fatti soprattutto alla Reumatologia, relativamente ai medici, alle risorse, ai farmaci… Il Ministero della Salute in condivisione con la Conferenza Stato-Regioni dovrebbe rivedere il SS regionale, dato che al momento non possiamo modificare l’articolo della costituzione che prevede questa regionalizzazione, per gestire la cronicità nell’emergenza, individuando quali risorse mettere in campo, altrimenti diventerà un problema non da poco. Le Associazioni Pazienti dal 25 febbraio scorso stanno lavorando senza sosta. I nostri malati sono stati abbandonati dal punto di vista lavorativo, medico, psicologico. Quest’ultimo avrà una ripercussione non da poco sui malati reumatico a conclusione dell’emergenza. Le persone, a volte, hanno bisogno anche solo di una parola. Il Reumatologo è presente, sa ascoltarci anche se gli raccontiamo un dolore momentaneo. C’è tanto lavoro da fare, in sinergia con tutte le altre Associazioni e le Società scientifiche.
3. La pandemia sta facendo ripensare anche il format congressuale annuale delle Società Scientifiche così come lo hanno concepito finora, facendo avanzare l’ipotesi di possibili modalità di aggiornamento mediate anche dall’ausilio di nuove tecnologie. Crede che cambierebbe il contributo portato dalla voce delle Associazione Pazienti in questi ambiti?
Antonella Celano. Non credo che cambierebbe. Abbiamo sperimentato i meeting a distanza in questo mese di quarantena e abbiamo visto che è possibile portare il nostro contributo, anche se si è a chilometri di distanza. La tecnologia, se ben usata, può essere un valido supporto. La nostra associazione, grazie alle tecnologie, ha aiutato anche persone in svariate parti d’Italia a risolvere problemi più o meno grandi. Se si usassero al massimo del loro potenziale le tecnologie, credo che fare congressi con il loro ausilio possa anche essere un impiego in meno di risorse economiche, senza nulla togliere ai contributi che si possono portare anche da parte delle Associazioni.
Silvia Tonolo. Se studiato e fatto bene, questo sistema potrebbe essere una risorsa importante. Lo ha utilizzato ultimamente anche Eular, con grandi seguiti. Lo abbiamo fatto anche noi, organizzando la nostra prima conferenza stampa virtuale, dedicata a giornalisti e pazienti: si è rivelata un vero successo perché i pazienti hanno avuto risposte direttamente dai medici e l'associazione ha avuto un ruolo fondamentale come tramite tra chi cura i pazienti e chi vive con una patologia. Questo dimostra che il web oggi può avere un ruolo fondamentale sia nella comunicazione che nella gestione della cronicità. Io credo che le Società Scientifiche debbano considerare nei panel list delle conference che faranno, la possibilità di dare voce alle Associazioni Pazienti anche attraverso conference e webinar. La bella iniziativa fatta l’anno scorso al Congresso nazionale CReI, che ha messo insieme le Associazioni pazienti per parlare della quotidianità dei malati, della cronicità, o degli aspetti psicologici, si può fare anche via web. E credo che in questo modo darebbe la possibilità di assistere al momento anche ai pazienti che per una ragione o per l’altra non hanno potuto partecipare a un incontro come questo. Ci sarebbe solo una nota negativa: il mancato piacere di condividere un banalissimo caffè e due chiacchiere vis à vis. Ma la situazione di emergenza non finirà domani o nei prossimi mesi, dovremo imparare a convivere con questo virus. Dunque, ben venute a queste iniziative tecnologiche.