Pandemia da SARS-Cov -2: riflessioni dal punto di vista reumatologico
Martedi 30 Giugno 2020
di Maria Teresa Mascia, Professore Associato presso il Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche, UNIMORE, Modena
Poche sono le malattie reumatiche delle quali si conosce l’agente eziologico. In quasi tutte le reumopatie si parte dalla stessa considerazione: si ipotizza che vari fattori ambientali giochino un ruolo fondamentale nella patogenesi delle malattie immunomediate. Soprattutto agenti infettivi possono essere il trigger in un soggetto predisposto. Altra possibilità è che l’agente esterno non sia un virus / battere, ma una sostanza che si può ritrovare nell’ambiente come silice, alluminio, metalli pesanti, etc. in grado di avere un impatto determinante sulle alterazioni e modulazione epigenetica.
Per quanto riguarda i rapporti con le infezioni si tratta soprattutto di segnalazioni di case reports o di modelli animali che hanno dimostrato produzione di autoanticorpi e di attivazione immune dopo infezioni virali. Le varie infezioni che possono causare un quadro articolare transitorio (Parvovirus B19, Rubella virus, Alphaviruses , Adenovirus, Coxsackieviruses, Epstein-Barr virus (EBV), Hepatitis B virus (HBV), Herpesviruses) sono state considerate anche come probabili inneschi di patologie reumatiche croniche. Numerosi sono anche i lavori che indagano sulla “molecular mimicry” e sui fattori dell’ospite (quali immunità innata, “host proteins”, citochine) I quali possono giocare un ruolo fondamentale nello sviluppo delle malattie reumatiche.
Non è stato però mai documentato con sicurezza l’agente eziologico delle singole malattie. Si tratta comunque di patologie a bassa incidenza nella popolazione o anche di malattie rare (inferiore ad 1 caso su 2000). Informazioni epidemiologiche e genetiche non possono essere analizzate in modo esauriente attraverso lo studio di casi isolati.
Un modello interessante di virus che si è rivelato estremamente importante per comprendere meccanismi e sviluppo di alcune patologie è stato sicuramente il virus dell’epatite C (HCV) . L’HCV si è dimostrato infatti in grado di causare patologie estremamente diverse: epatite ed epatocarcinoma, malattie autoimmuni - vasculite crioglobulinemica, linfomi, oltre ad una svariata serie di interessamenti d’organo. In particolare nel caso della sindrome crioglobulinemica abbiamo potuto valutare le percentuali diverse di quadri clinici che variano da asintomatici, epatopatia, presenza di crioglobuline non clinicamente rilevanti, crioglobuline di III tipo, crioglobuline di II tipo, sindrome crioglobulinemica. Non è stata trovata alcuna correlazione fra genotipo del virus e quadro clinico facendo quindi ipotizzare che l’outcome della infezione sia il risultato di una complessa interazione fra molteplici fattori virali e dell’ospite.
Gli studi sono stati resi possibili dalla diffusione del virus C nel sud Europa pari ad una media di 2,3% con punte del 20% nei soggetti di età >70 anni nelle regioni del sud d’Italia. Le epidemie rappresentano un momento importante per valutare dati epidemiologici e documentare correlazioni tra agenti infettivi e correlati clinici. Focolai infettivi hanno fornito ad esempio una opportunità unica per ottenere informazioni sulle caratteristiche cliniche delle artriti reattive post-infezioni gastroenteriche (da semplici artralgie ad artriti persistenti, allo sviluppo di spondiloartriti) dopo epidemie di salmonella.
Uno degli avvenimenti più significativi della storia recente è quello della Malattia di Lyme che è stata individuata in USA nello Stato del Connecticut nel 1975, a seguito della segnalazione di un cluster prima di bambini e poi anche di adulti residenti ad Old Lyme tutti colpiti nel giro di breve tempo da un quadro di poliartrite simil-reumatoide. Le ricerche in seguito hanno permesso di individuare la borrelia burgdoferii come agente eziologico e di spostare alcune forme di artrite idiopatica giovanile nel gruppo di patologie infettive da puntura di zecca.
Altro modello significativo sono le artriti da Chikungunya identificate e studiate nelle varie epidemie del virus . Negli ultimi anni la Chikungunya, una zoonosi causata dal Chikungunya virus (CHIKV) isolato nel 1952, trasmessa dalle zanzare di genere Aedes, si è diffusa in oltre 100 paesi. Prima del 2013, il CHIKV era considerate endemico in Africa, Asia e India (2004-2011 tra 1.500.000 e 6.000.000 casi). Tuttavia alla fine del 2013 una serie di casi è comparsa nella isola caraibica di Saint Martin. Da allora la incidenza di questa malattia nelle Americhe è precipitosamente aumentata con almeno 4 milioni di casi globalmente riportati al Dicembre 2017. Dopo un periodo di incubazione di 2-7 giorni, il 95% dei soggetti colpiti dal CHIKV sviluppa una iperpiressia tipicamente > 39°, cefalea, rash cutaneo, intense mialgie diffuse ed una poliartrite simmetrica. Mentre le manifestazioni della malattia di solito sono autolimitanti, in una percentuale fino al 15% dei soggetti affetti si sviluppa un quadro di artrite ancora presente dopo 20 mesi.
I meccanismi responsabili della artrite CHIKV-relata non sono ancora bene conosciuti, ma sembra che non entri in gioco la persistenza del virus; si ipotizzano anche in questo caso interazioni tra fattori dell’ospite (predisposizione) e la comparsa di un meccanismo autoimmune.
L’emergere di SARS-CoV nel 2002 e la sua diffusione in 32 paesi e aree (circa 8098 casi), ed in seguito lo sviluppo di MERS ‐ CoV (1616 casi) hanno dimostrato che i Coronavirus, famiglia di virus respiratori che possono causare malattie da lievi a moderate, erano in grado di causare sindromi respiratorie acute gravi ed anche letali. Queste epidemie da coronavirus SARS e MERS avevano già dimostrato che i fattori dell'ospite, attivando un meccanismo immunitario di risposta contro il virus, svolgono un ruolo chiave.
Recentemente studi sudcoreani, analizzando epidemie di virus respiratori, hanno documentato che la comparsa di nuovi casi di Artrite Reumatoide mostrava un andamento stagionale, e che le infezioni da parainfluenza, coronavirus e metapneumovirus erano associate con un incremento dei casi di Artrite Reumatoide. Tali risultati supportano la ipotesi che nella popolazione generale le infezioni respiratorie ad eziologia virale possono avere la capacità di innescare la Artrite Reumatoide.
Una pandemia come quella attualmente in corso a causa del SARS-CoV-2, con il coinvolgimento di oltre 6 milioni di persone in tutto il mondo causate da un virus che ha effettuato uno spillover, cioè un salto di specie da portatore animale non-umano agli esseri umani, solo a metà del mese di Ottobre 2019 e che quindi non esisteva precedentemente, elimina le possibilità di infezioni pregresse come bias interpretativo, ed quindi è un modello formidabile per valutare le interazioni virus-ospite.
In questa infezione possiamo vedere le differenze di comportamento: • di genere: simile il rapporto maschi-femmine per quanto riguarda la percentuale di contagio, ma maggiore mortalità negli uomini. • di fascia d’età: colpiti soprattutto i soggetti sopra i 60 anni, rari i sintomi nei bambini. • di risposta al virus: asintomatici, paucisintomatici, sintomi gravi, Insufficienza respiratoria, morte • di durata della infezione : da pochi giorni a persistenza del virus anche a distanza di oltre 70 giorni. • di prognosi correlata alle comorbidità : malattie cardiovascolari, diabete mellito, ipertensione, patologie polmonari croniche, neoplasie, nefropatie croniche
Va inoltre segnalata l’ipotesi che la contagiosità e mortalità elevata in alcune zone in Italia e nel mondo (Lombardia, Inghilterra, Stati Uniti) sia correlata all’inquinamento atmosferico ed in particolare agli elevati livelli di Pm soprattutto 2.5. Tutto ciò potrebbe unire le ipotesi dei fattori ambientali come trigger delle malattie reumatiche, quindi non solo agenti biologici ma anche condizioni ambientali (sostanze tossiche presenti nell’ambiente) associate come cofattore nello sviluppo della risposta immune.
Di fronte però a milioni di soggetti infetti, comunque raggruppabili in profili ben definiti, si assiste alla comparsa di casi apparentemente atipici . La globalizzazione, se da una parte può essere uno dei fattori favorenti la diffusione del virus nel mondo, d’altra parte offre anche la possibilità di diffondere in tempo reale le conoscenze in campo clinico e di accorpare, sempre in tempo reale , tutti i casi atipici e analoghi che compaiono in tutto il mondo COVID-19 relati. Questo ha portato al riconoscimento dei meccanismi di trombosi immuno-mediata alla base dei casi più gravi di ARDS o delle morti improvvise in pazienti apparentemente guariti o paucisintomatici. Sono stati segnalati casi di sviluppo di malattie rare quali la Sindrome di Kawasaki del bambino.
Nello stesso modo uno studio del 2005 aveva messo in evidenza un legame tra un nuovo coronavirus umano denominato “New Haven coronavirus” con la malattia di Kawasaki in un neonato di sei mesi.
Questo dato non è stato confermato da altri ricercatori, anche se in Giappone comunque si sono verificate almeno 3 epidemie di Kawasaki sempre nel periodo invernale a riprova di un possibile trigger ambientale. Altre segnalazioni su aspetti clinici particolari, considerati come malattie rare, correlati alla infezione COVID-19: Encefalopatia acuta necrotizzante , lesioni ischemiche acrali (o forse lesioni simil-geloni), anosmia e ageusia , porpora, vasculiti degli arti inferiori.
Oltre agli aspetti clinici vi sono segnalazioni di comparsa di autoimmunità con ANA test positivo, nel 50% dei casi associate ad anticorpi anti-SSA sia a 52 che a 60kD ( entrambi 25%) e un anti-U1RNP in 21 pazienti in condizioni critiche e di antifosfolipidi (anticardiolipina e antiB2GP1 di classe IgG ed IgA) in 3 pazienti con eventi trombotici e di anticoagulante lupico.
I quadri clinici di questi pazienti sono talmente familiari ai reumatologi che è spesso difficile distinguere i pazienti affetti da SARS-Cov-2 da patologie autoimmuni quali Lupus eritematoso sistemico, sclerosi sistemica, vasculiti, le sindromi da antifosfolipidi.
All’interno della comunità reumatologica una coalizione internazionale denominata “the COVID-19 Global Rheumatology Alliance”, è sorta con lo scopo di lanciare un registro globale di pazienti affetti da malattie reumatiche e colpiti da COVID-19, aperta ai medici di tutto il mondo per avere il report di questi casi di COVID-19 e dare supporto alla raccolta di tutti questi pazienti. Nel giro di pochi giorni la Alliance ha reclutato reumatologi attraverso sei continenti ed il supporto di più di 200 organizzazioni non profit che promuovono la salute dei pazienti reumatologici ed anche le più importanti riviste di reumatologia. L’obiettivo è di ottenere dati da ogni paziente con malattie reumatiche che risulta SARS-CoV-2 positivo per chiarire i meccanismi di risposta dell’ospite, la possibilità di una suscettibilità genetica, mettere a punto strategie ottimali di trattamento e valutarne l’outcome. Nell’aggiornamento del 26 maggio oltre 1100 casi erano stati segnalati al “Provider-Entered Registries” e 12.000 casi al “Patient-Experience Survey” .
Oltre a queste importanti sfide sarà probabilmente necessario affrontarne un’altra . I dati sulle precedenti epidemia di coronavirus fanno infatti ipotizzare una possibile crescita del numero di pazienti affetti da patologie reumatiche scatenate da questa infezione partendo proprio dal presupposto che vi può essere un aumento di incidenza di artrite reumatoide pari al 9% dopo una infezione da coronavirus e devono allertarci su possibili modifiche anche nel campo delle patologie autoimmuni . Nel 2004 vi erano segnalazioni che antigeni del SARS-CoV possono cross-reagire con autoanticorpi in pazienti con malattie autoimmuni. L’esperienza della comunità globale che è stata costruita dai reumatologi dovrà essere un punto di riferimento importante anche in futuro.