Malattie reumatiche

Terapie in reumatologia: il paziente riesce sempre a capire cosa dice il medico?

Il rapido cambiamento delle terapie farmacologiche in reumatologia dall’avvento dei biologici, unito ad un approccio, quello del treat-to-target, sempre più efficace, stanno rapidamente cambiando la comunicazione fra medico e paziente, a vantaggio di entrambi.

La complessità delle cure rimane tuttavia elevata: i benefici attesi dai nuovi farmaci e dai relativi approcci terapeutici possono diminuire, così come i potenziali rischi possono aumentare, se il paziente non ne percepisce l’importanza durante tutto il percorso terapeutico.

Ecco che gli studiosi dell’Università del Nord Carolina se ne escono su Arthritis Care Res con uno studio, per niente scontato, sull’efficacia della comunicazione fra paziente e reumatologo (1).

Lo studio introduce un concetto centrale nella comunicazione. Il concetto di “gist”, ovvero il concetto essenziale, definito come significato essenziale e complessivo che un individuo attribuisce ad un set di parole e numeri utilizzati per veicolare una data informazione.
Dal 2003 al 2007 gli sperimentatori hanno registrato le conversazioni intercorse in alcuni ambulatori reumatologici fra pazienti affetti da artrite reumatoide (AR) ed i loro reumatologi. La conversazione fra ciascun paziente ed il proprio medico è stata registrata nel corso di 3 visite.
Le registrazioni sono poi state trascritte per facilitare l’analisi dei contenuti. Quattro pazienti affette da AR, che non avevano partecipato a nessuna visita registrata, hanno guidato in una fase iniziale lo sviluppo dello schema di codifica, poi utilizzato per codificare le trascrizioni delle registrazioni.

Dopo aver rivisto le trascrizioni, le 4 pazienti hanno risposto ad una serie di domande atte a descrivere l’essenza di ciò che il reumatologo aveva detto. Tali domande riguardavano 14 diversi concetti essenziali, relativi ad esempio all’efficacia dei farmaci, alla necessità di assumerli o alla loro sicurezza.

Un esempio? Per il concetto essenziale della sicurezza, le 4 pazienti hanno letto i trascritti e risposto alla seguente domanda: “Il farmaco ha pochi, molti o un numero non chiaro di effetti indesiderati?”
Tutti i pazienti coinvolti erano affetti da AR e provenivano dal Wisconsin e dal Nord Carolina. Erano prevalentemente donne (77%), bianche (90%) e sposate (68%). La maggior parte di esse aveva almeno il diploma di scuola superiore.

In totale lo studio ha visto il reclutamento di 365 pazienti e la trascrizione di 4178 farmaci prescritti. Le quattro pazienti iniziali avevano codificato le conversazioni relative a 264 dei farmaci totali prescritti.
I trattamento più comunemente discussi sono stati il metotrexato ed il prednisone, seguiti dagli anti-TNF, l’idrossiclorochina ed i farmaci impiegati nel trattamento del metabolismo osseo.

In generale i ricercatori hanno osservato un’ampia variabilità fra i primi 4 partecipanti nel concordare quali fossero i temi essenziali estratti dai trascritti. Ad esempio nel caso della sicurezza, per la domanda “Il farmaco ha pochi, molti o un numero non chiaro di effetti indesiderati?”, la concordanza fra i 4 era del 43% (coefficienti kappa di concordanza, 0,10).

Al contrario i ricercatori hanno osservato un’elevata concordanza (86%, kappa 0,78) per la domanda “Il reumatologo vuole aumentare/mantenere/ridurre la dose di farmaco oppure questo non è chiaro?”
Gli autori dello studio concludono che persone differenti, esposte alla stessa informazione, possono recepire un concetto essenziale diverso e che la comunicazione fra medico e paziente dovrebbe essere migliorata comprendendo meglio quali fattori contribuiscano maggiormente alla definizione del concetto essenziale.

Il dott. Kevin Deane, reumatologo dell’Università del Colorado (Denver), in un articolo da poco pubblicato su Medscape, esprime il suo personale - ma ampiamente condivisibile - punto di vista.

Spesso i reumatologi si trovavo a fare la parte del “commerciante” che cerca di convincere il proprio “cliente” (paziente) circa i benefici di un dato farmaco, cercando al tempo stesso di bilanciare questi benefici con il rischio reale che si verifichino degli effetti indesiderati. Il tutto “allo scopo di migliorare il benessere complessivo del paziente”, afferma il dott. Deane.

Quali fattori complicano la comunicazione?
Le preparazioni iniettabili rispetto a quelle orali, le interazioni fra i farmaci e gli effetti indesiderati “più esoterici” – ovvero più inattesi e difficili da spiegare e ricondurre ad un determinato farmaco o condizione concomitante - rendono la “vendita” più complicata, afferma il reumatologo.
A questo va unita senz’altro la mancanza di tempo per i reumatologo e l’ampia varietà di tipologie di pazienti con cui si trova a dialogare. Differenti caratteristiche socio-economico, anagrafiche e cliniche significano infatti differenti bisogno e quindi la necessità di ricorre ad approcci e vocabolari diversi.

Alfabetizzazione sanitaria, comunicazione medico-paziente e processi decisionali che coinvolgono oggi anche il paziente, nell’ottica di migliorare l’aderenza e la persistenza al trattamento, sono tra i temi più scottanti di questi ultimi anni, anche ma non soltanto in reumatologia.
A questo proposito il dott. Deane suggerisce due letture edificanti: un recente lavoro pubblicato sul Journal of Rheumatology (2) ed un libro che illustra la prospettiva dei pazienti nei processi decisionali in campo medico-sanitario (3).

Quali i limiti dello studio del dott. Blalock e dei suoi colleghi?
Prima di tutto, i pazienti si sono basati su trascritti, mentre la comunicazione orale, condizionata dall’emozione e dall’attivazione di altri sensi, avrebbe potuto condurre i pazienti alla scelta di concetti essenziali differenti.
I pazienti erano inoltre affetti da AR da tempo e quindi già influenzati dalle loro conoscenze in materia di terapie farmacologiche sicuramente già, almeno in parte, sperimentate. Un paziente con una diagnosi più recente, ascoltando determinate informazioni per la prima volta, avrebbe potuto avere una diversa impressione.

Il dott. Keane propone di effettuare una valutazione in real-time della comprensione del paziente durante la conversazione, in maniera da dargli la possibilità di fare domande estemporanee.

Un mio personale suggerimento? Ripetere lo studio confrontando due gruppi di pazienti: early AR verso pazienti con una maggiore durata di malattia, che sia il meno variabile possibile. Sarebbe inoltre opportuno che le caratteristiche socio-economiche, culturali e anagrafiche non differissero statisticamente fra i due gruppi.

Ad ogni modo, lo studio condotto dai medici dell’Università della Carolina è degno di plauso, specialmente per l’analisi rigorosa e per l’originalità della sua finalità, oggi sempre più importante, ma nei fatti più che mai trascurata.

Francesca Sernissi


Riferimenti
1.    Blalock SJ, Slota C, Devellis BM, Devellis RF, Chewning B, Jonas BL, Sleath BL. Patient rheumatologist communication concerning prescription medications: getting to the gist. Arthritis Care Res (Hoboken). 2014 Apr;66(4):542-50.
2.    Hirsh JM, Davis LA, Quinzanos I, Keniston A, Caplan L. Health literacy predicts discrepancies between traditional written patient assessments and verbally administered assessments in rheumatoid arthritis. J Rheumatol. 2014;41:256-264.
3.    Groopman J, Hartzband P. Your Medical Mind: How to Decide What Is Right for You. New York: Penguin Books; 2011.

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