Sindrome di Kawasaki e Covid-19: legame probabile ma da approfondire
Giovedi 30 Aprile 2020
Nicola Casella
I giornali di ieri hanno dato spazio alle numerose segnalazioni in Italia e nel Regno Unito, relative ad una grave sindrome che potrebbe essere collegata al Covid-19 nei bambini (sindrome di Kawasaki) che si connota per la presenza di uno stato infiammatorio multisistemico che necessita di cure intensive.
Abbiamo approfondito l'argomento con la prof.ssa Mariolina Alessio (Responsabile del Centro di Riferimento Regionale per le Malattie Reumatiche Pediatriche della Regione Campania, nonché professore aggregato presso il Dipartimento di Salute Materno-Infantile dell'Università Federico II di Napoli) nel corso di una intervista telefonica realizzata ieri.
Di seguito, proponiamo alcuni stralci relativi alle informazioni più rilevanti emerse nel corso di questa intervista.
Che cosa è la sindrome di Kawasaki? La malattia di Kawasaki è una vasculite sistemica acuta febbrile dell’infanzia, che di solito insorge in bambini di età inferiore a 5 anni. La complicanza principale associata a questa malattia è rappresentata dalle lesioni a carico delle arterie coronariche (CAL) – dalla dilatazione alla presenza do aneurismi – che, se presenti, possono dar luogo a conseguenze a lungo termine, come la stenosi o l’ostruzione delle arterie, fino ad arrivare all’infarto del miocardio. “Alla febbre – spiega la prof.ssa Alessio - si associa un corteo di altri sintomi che vanno dalla congiuntivite (comune anche al Covid-19) alla fissurazione delle labbra, dall'edema delle mani e dei piedi all'ingrossamento delle ghiandole del collo o sottomandibolari e, last but not least, alla presenza (insieme alla febbre) di macchie cutanee”.
Quali sono le opzioni per il suo trattamento a disposizione? Le immunoglobuline rappresentano il gold stanrdard nel trattamento della sindrome di Kawasaki. Da tempo è stata documentata l’efficacia della somministrazione di immunoglobuline endovena (IVIG) nel ridurre la prevalenza delle anomalie a carico delle arterie coronariche dei piccoli pazienti affetti dalla malattia in fase acuta. Purtroppo, però, è stata documentata anche una resistenza al trattamento con IVIG in una proporzione non trascurabile di pazienti, compresa tra il 9,4 e il 38%. Inoltre, le IVIG si sono manifestate inefficaci proprio nei casi oggetto delle segnalazioni recenti.
Il trattamento di seconda istanza è rappresentato dal cortisone. A tal riguardo, però, sottolinea la prof.ssa Alessio, va ricordato l'effetto immunosoppressore che potrebbe facilitare l'infezione da SARS-Cov-2 (anche se ormai la fase peggiore dell'ondata epidemica che si è abbattuta nel nostro Paese sembra ormai alle spalle, con conseguente riduzione del rischio).
Da ultimo, ci sono i farmaci biologici che tanto successo hanno avuto nel trattamento delle forme di supeinfiammazione associate al Covid-19. Nello specifico, sembrano essere particolarmente efficaci quei farmaci biologici aventi come bersaglio terapeutico IL-1.
E' il Covid-19 ad aumentare la suscettibilità alla sindrome di Kawasaki? L'aspetto che accomuna la sintomatologia tipica della sindrome di Kawasaki a quella del Covid-19 è quello della superinfiammazione che sottende gli effetti sistemici della vasculite.
“Nel 1967, quando fu descritta per la prima volta la sindrome di Kawasaki, si ipotizzò fin da subito l'esistenza di un innesco virale della malattia – ricorda la prof. Alessio -. Di qui la richiesta del gruppo di studio della Società Italiana di Pediatria di raccogliere quanti più dati possibili per capire se i pazienti pediatrici diagnosticati per la sindrome (in particolare quelli con febbre e quadro di supeinfiammazione (cardiaca e multiorgano) e alterazioni della coagulazione, possano trarre beneficio dai farmaci biologici che spengono la tempesta infiammatoria (nel caso specifico gli inibitori di IL-1)”.
Ad oggi, tuttavia, non è ancora chiaro se il virus SARS-COV-2 sia direttamente coinvolto nello sviluppo di questi casi di malattia di Kawasaki o se le forme che si stanno osservando rappresentino una patologia sistemica con caratteristiche simili a quelle della sindrome, ma secondaria all’infezione.
Per la prof.ssa Alessio, le ragioni alla base del permanere di questi dubbi derivano da una serie di fattori: 1) L'incidenza di infezioni da SARS-Cov-2 in età pediatrica è limitata, come documentano tutte le casistiche finora disponibili; 2) i casi presunti di sindrome di Kawasaki si sono verificati sia in bambini positivi al tampone naso-faringeo per la presenza di infezione da SARS-Cov-2, sia in bambini in cui fosse noto un contatto con soggetti infetti, nei quali, però, il tampone naso-faringeo era negativo, in aree a forte presenza di infezioni da SARS-Cov-2; 3) la malattia di Kawasaki non è una malattia frequentissima e l'eccesso di casi documentato nel nord Italia – 20 casi in un mese- va contestualizzato tenendo presente una media di rispetto di 10-12 casi rilevati negli anni precedenti.
“Il Covid-19 – ribadisce la prof. Alessio – non è una malattia pediatrica. Ci sono manifestazioni cliniche che devono giustamente destare attenzione ma, sicuramente, non allarme”.
L'importanza di non procrastinare il ricovero ospedaliero...e il fattore fiducia L'impatto sulla fiducia nelle strutture ospedaliere indotto dall'epidemia di Covid-19 e i timori dei genitori di fronte alla presenza di sintomi febbrili ad esso riconducibili possono, inevitabilmente, influire negativamente sulla gestione della sindrome di Kawasaki.
“Questa malattia non rende possibile la gestione domiciliare del trattamento – spiega la prof.ssa Alessio – Ma i genitori possono essere relativamente tranquilli: se i loro piccoli accusano febbre e manifestazioni sistemiche, spesso accompagnate da rash cutanei, e il pediatra ne consiglia il ricovero, non hanno motivo di temere i rischi di contagio intra-ospedaliero da Covid-19 in quanto il ricovero dei pazienti febbricitanti nei reparti di pertinenza è subordinato allo screening per la positività al nuovo Coronavirus”.