Nuovo test predice successo terapia adalimumab in pazienti affetti da Artrite ruematoide
Sabato 11 Luglio 2015
Sottoporre pazienti con artrite reumatoide (AR) che iniziano la terapia con un farmaco biologico a test farmacologico può essere clinicamente utile per predire il successo della terapia anche in assenza dei livelli di farmaco “a valle”. La semplice esecuzione di un test che misura i livelli di anticorpi anti-farmaco (ADAb) e bassi livelli di adalimumab a 3 mesi dall'inizio del trattamento può essere predittiva della mancanza di risposta EULAR al farmaco dopo 12 mesi.
Queste le conclusioni principali di uno studio di recente pubblicazione sulla rivista Arthritis & Rheumatology (1), che suggerisce la possibilità, nel prossimo futuro, di ottimizzare il trattamento di questa condizione con una classe di farmaci di provata efficacia ma anche molto costosi.
Come è noto, l'introduzione nell'arsenale terapeutico dei farmaci anti-TNF ha trasformato il trattamento della malattia. Ancora oggi, però, più del 40% dei pazienti sperimenta l'insuccesso della terapia in ragione della sua completa inefficacia o della perdita di risposta al trattamento (2).
“Da ciò ne consegue che la capacità di predire la mancata risposta al trattamento ad uno stadio precoce potrebbe avere implicazioni positive in termini di economia sanitaria e potrebbe aiutare ad ottimizzare la cura del paziente – spiegano gli autori nell'introduzione al lavoro”.
Una spiegazione della scarsa efficacia delle terapia a base di farmaci anti-TNF consiste nello sviluppo della condizione di immunogenicità, per cui si ha lo sviluppo di ADAb e il riscontro di bassi livelli di farmaco.
“Un fattore critico nell'interpretazione degli studi di immunogenicità è rappresentato dall'ampia variazione delle frequenze riportate di comparsa degli ADAb – continuano gli autori – che potrebbe essere legata ad un numero di fattori intrinseci del paziente nonché di fattori legati al farmaco e al trattamento d'insieme, compreso il ricorso concomitante ad altri DMARD. Anche la diversità dei metodi di rilevazione degli ADAb è un problema di non poco conto (…) Ad esempio, per minimizzare il problema dell'interferenza del farmaco, studi precedenti hanno utilizzato campioni sierici “a valle” per misurare le concentrazioni di farmaco e quelle di ADAb, ottenuti immediatamente prima della somministrazione di una nuove dose del farmaco da testare”.
Questa prassi risulta particolarmente onerosa sia per il paziente che per l'equipe che l'ha in cura in quanto, spiegano gli autori “...nel caso delle terapie a base di adalimumab ed etanercept, che vengono autosomministrate dal paziente per via sottocutanea a casa, la valutazione dei livelli farmacologici “a valle” dovrebbe, nella maggior parte dei casi, richiedere una visita ospedaliera ad hoc dopo che l'inefficacia al farmaco è stata riconosciuta dal medico curante”.
Il nuovo studio si è allora proposto un obiettivo duplice: innanzitutto, quello di verificare se il livello di anticorpi anti-farmaco (ADAb) e/o quelli del farmaco utilizzato “non a valle” fossero in grado di predire la risposta al trattamento nel lungo termine in pazienti con AR trattati con farmaci anti-TNF. Il secondo obiettivo dello studio, invece, consisteva nell'identificare i fattori influenzanti i livelli di ADAb e di farmaco per ottimizzare le decisioni di trattamento future.
I pazienti reclutati nello studio provenivano dallo studio BRAGGS (the Biologics in Rheumatoid Arthritis Genetics and Genomics Study Syndicate) (2), uno studio osservazionale prospettico, di coorte e multicentrico, condotto nel Regno Unito dal 2008 al 2013. I ricercatori hanno selezionato in questo modo 311 pazienti con: 1) diagnosi posta di AR secondo i criteri ACR; 2) attività di malattia documentata da punteggio DAS28>5,1, nonostante un trattamento pregresso con almeno 2 DMARD, incluso il metotressato (MTX); 3) indicazione al trattamento con adalimumab o etanercept, i 2 farmaci anti-TNF più prescritti nello studio BRAGGS all'epoca dell'inizio dello studio. Centosessanta pazienti sono stati trattati con adalimumab e 171 con etanercept.
La maggioranza dei pazienti era di sesso femminile ed era sieropositiva per il fattore reumatoide (73%) e la presenza di anticorpi anti-CCP (76,4%). I pazienti presentavano malattia attiva all'inizio dello studio (mediana punteggio DAS28= 5,8 – range: 5,3-6,4 – mentre la durata mediana di malattia prima dell'inizio del trattamento con farmaco biologico era pari a 8,1 anni – range: 3,6-16). Nonostante l'impiego di idroclorochina fosse più elevato nei pazienti in trattamento con etanercept rispetto a quelli trattati con adalimumab (9,3% vs 2,9%; p=0,02), non sono state documentate altre differenze significative tra i pazienti in trattamento con i 2 farmaci.
La misurazione dei livelli di ADAb è stata effettuata mediante saggio radioimmunologico mentre quella dei livelli di farmaco tramite saggio ELISA su 835 campioni seriali sierici a 3, 6 e 12 mesi dall'inizio del trattamento farmacologico. Inoltre, sono stati utilizzati modelli di regressione logistica per valutare la forza dell'associazione nonché il valore predittivo dei livelli di ADAb e di farmaco “non a valle” sulla risposta al trattamento (variazioni del punteggio DAS28 di attività di malattia.
I risultati hanno documentato la presenza di ADAb nel 24,8% dei pazienti (31/125) in trattamento con adalimumab e in nessuno dei pazienti in trattamento con etanercept alla fine del follow-up (12 mesi). A 3 mesi, la formazione di ADAb e il riscontro di bassi livelli di adalimumab sono risultati essere predittori significativi a 12 mesi dell'assenza di risposta secondo i criteri EULAR (area sotto la curva= 0,71; IC95%= 0,57-0,85). I pazienti ADAb-positivi si caratterizzavano per un trattamento con MTX a dosi mediane inferiori (15 vs 20 mg/settimana; p=0,01) e per una durata di malattia più estesa (14 vs 7 anni; p=0,03). Lo studio ha mostrato anche che i livelli di adalimumab erano migliori predittori delle variazioni del punteggio DAS28 a 12 mesi, dopo aggiustamento dei dati (coefficiente di regressione= 0,060 [IC: 0,015-0,10] p=0.009). Anche i livelli di etanercept sono risultati associati alla risposta EULAR a 12 mesi: tale associazione, tuttavia, ha perso significatività statistica dopo aggiustamento dei dati. Infine, i ricercatori hanno mostrato un anche un BMI>30 e una scarsa compliace al trattamento fossero associati a livelli di farmaco ridotti.
“Il nostro studio ha dimostrato per la prima volta che i livelli di adalimumab e lo status degli ADAb, valutato da campioni sierici non raccolti “a valle”, sia utile nella predizione precoce della risposta EULAR a 12 mesi – scrivono gli autori nella discussione al lavoro.” “Dei due test valutati – continuano gli autori - quello che misura i livelli di adalimumab è risultato essere il miglior predittore della risposta al trattamento, dopo aggiustamento per variabili confondenti. Quanto ad etanercept, i livelli del farmaco, valutati anch'essi mediante campioni sierici non raccolti “a valle”, hanno mostrato un'elevata variabilità e sono meno utili alla predizione della risposta futura al trattamento. Infine, i valori di BMI e la compliance sembrano essere predittori significativi dei livelli di farmaco, indipendentemente dal farmaco biologico considerato”.
Nicola Casella
Bibliografia
1. Jani M et al. Clinical utility of random anti-TNF drug level testing and measurement of anti-drug antibodies on long-term treatment response in rheumatoid arthritis. Arthritis Rheumatol. 2015 Jun 24. doi: 10.1002/art.39169. [Epub ahead of print] Leggi
2. Potter C et al. Association between anti-tumour necrosis factor treatment response and genetic variants within the TLR and NF{kappa}B signalling pathways. Ann Rheum Dis. 2010 Jul; 69(7):1315-1320. Leggi