Malattie reumatiche

Lupus refrattario, fa ben sperare il trapianto di staminali mesenchimali

Il trapianto allogenico di cellule staminali mesenchimali si è dimostrato promettente come trattamento per il lupus eritematoso sistemico (LES) refrattario in uno studio multicentrico di fase I/II appena pubblicato su Arthritis Research & Therapy.

Al trial, eseguito in Cina, hanno partecipato 40 pazienti affetti da LES  persistente nonostante un trattamento aggressivo con ciclofosfamide, micofenolato mofetile, leflunomide e/o alte dosi di steroidi. Il 60% degli individui trattati con le cellule staminali mesenchimali del cordone ombelicale ha mostrato una risposta clinica importante o parziale durante l’anno di follow-up dello studio. Inoltre, la sopravvivenza a un anno dal trapianto è stata del 92,5%.

Le staminali mesenchimali sono cellule multipotent , cellule progenitrici non ematopoietiche di cui si stanno studiando le potenzialità come nuovo promettente trattamento per la rigenerazione dei tessuti. Anche se le proprietà immunomodulanti di queste cellule non sono ancora del tutto chiare, il loro basso potenziale immunogenico e i loro effetti sulle risposte immunitarie le rendono uno strumento terapeutico promettente per le malattie autoimmuni gravi e refrattarie, spiegano gli autori, guidati da Lingyun Sun, dell’Università di Nanchino.

Diversi studi hanno dimostrato che le cellule staminali mesenchimali possono differenziarsi in osso e cartilagine, e che hanno effetti immunomodulatori sui linfociti B e T. Inoltre, sono in grado di eludere il riconoscimento da parte del sistema immunitario grazie all’assenza di molecole co-stimolatorie.

Dopo la somministrazione, almeno alcune delle cellule infuse migrano verso le aree dove sono in atto processi infiammatori e vengono attivate dalle citochine proinfiammatorie presenti nel microambiente locale.

"Queste cellule hanno diversi effetti immunitari che potrebbero essere utili nel lupus" ha dichiarato Gary Gilkeson, della Medical University of South Carolina di Charleston, in un'intervista., specificando, però, che ci sono ancora molte incertezze sui meccanismi precisi con cui queste staminali agiscono sul sistema immunitario.

"Non sappiamo come agiscano effettivamente e se debbano raggiungere le aree dell’infiammazione per esercitare il loro effetto. Si sa che a volte, dopo l'infusione, le cellule rimangono nel polmone, ma sembrano comunque essere efficaci. Quindi, è possibile che agiscano secernendo sostanze chimiche o per contatto diretto cellula-cellula” ha aggiunto Gilkeson, che non fa parte del team di autori.

L’esperto ha, inoltre, sottolineato che, almeno finora, il trattamento sembra essere molto sicuro.

In un precedente studio monocentrico dello stesso gruppo, 16 pazienti con LES refrattario o letale erano stati sottoposti alla stessa  procedura e il trattamento aveva mostrato un "profondo effetto terapeutico", con miglioramenti a breve termine dell'attività della malattia, della funzionalità renale e dei livelli anticorpali.

Il gruppo cinese ha poi continuato a indagare questi effetti in un gruppo più ampio e per un periodo più lungo, arruolando i pazienti tra il 2009 e il 2011 in quattro centri diversi.

In tutto sono stati arruolati 40 pazienti con LES attivo ai quali è stato somministrato mediante infusione endovenosa un milione di cellule/kg di peso corporeo, iniettate nei giorni 0 e 7.

L'attività della malattia è stata valutata mediante l’indice BILAG, che valuta le caratteristiche cliniche in otto sistemi del corpo. Un punteggio uguale ad ‘A’ rappresenta una malattia grave per ogni singolo sistema , mentre ‘B’ una malattia moderata e ‘C’ una lieve.

Una risposta clinica importante è stata definita come un punteggio pari a C per tutti i sistemi del corpo senza riacutizzazioni gravi in 6 mesi e un mantenimento della risposta per tutta la durata dello studio, cioè 12 mesi.

Una risposta clinica parziale è stata definita come un punteggio pari a C o migliore e nessun nuovo punteggio A o B nei primi 3 mesi post-trapianto o il non avere più nessun punteggio B dopo 6 mesi e nessun nuovo punteggio A o B a 12 mesi.

Il 95% dei partecipanti era di sesso femminile, l’età variava tra i 17 e i 54 anni e la diagnosi era stata fatta in media circa 7,5 anni prima.

Nel corso del 12 mesi di follow-up, il 32,5 % dei pazienti ha avuto una risposta clinica importante e il 27,5% una risposta clinica parziale.

Tra coloro che hanno risposto al trattamento, tre pazienti hanno avuto una recidiva entro 9 mesi e quattro entro 12 mesi. Ciò, scrivono i ricercatori, suggerisce che potrebbero essere necessarie più infusioni di cellule staminali, forse un secondo trattamento dopo 6 mesi.

"Alcuni pazienti trattati con queste cellule hanno avuto remissioni a lungo termine, ma altri hanno dovuto essere trattati di nuovo" ha detto Gilkeson, che aveva collaborato con il gruppo cinese per il primo studio pilota. Tuttavia, ha aggiunto lo specialista, anche in caso di necessità di una seconda infusione, ne basterebbe una dopo 6 mesi o anche più tardi.

Tra gli effetti sierologici si sono osservati una normalizzazione dell’albumina sierica, un miglioramento del complemento e un calo degli anticorpi anti-dsDNA e antinucleari nel siero.

Il 95% dei pazienti presentava inizialmente una nefrite lupica, con livelli medi di proteinuria nelle 24 ore di 2,24 g. A 6 mesi dal trapianto, la proteinuria era scesa a 1,65 g e dopo 12 si era ridotta ulteriormente, arrivando a 1,41 g dopo 12 mesi dall’infusione delle staminali.

Durante l’anno in cui è stato fatto lo studio, l’81% dei pazienti ha potuto ridurre gli steroidi, mentre il 54% ha ridotto i farmaci immunosoppressori.

Nel lavoro, gli autori osservano che le cellule staminali mesenchimali possono essere ottenuti da molti tipi di tessuto, come il midollo osseo, il tessuto adiposo e il cordone ombelicale o il sangue del cordone ombelicale, e perfino dalla polpa dentale.

Tuttavia, ottenere le cellule dal midollo osseo è molto più difficile che da fonti ombelicali e le cellule potrebbero essere contaminate. Inoltre, le cellule derivate dal cordone ombelicale presentano alcuni vantaggi rispetto a quelle del sangue del cordone ombelicale, in quanto "presentano un’espressione maggiore dei geni implicati nell’adesione cellulare, nella morfogenesi, nell’angiogenesi e nella neurogenesi”.

Sul fronte della sicurezza delle infusioni, ha osservato Gilkeson, “finora non ci sono state segnalazioni di problemi significativi, ma le si utilizzano nell’uomo solo da circa 4-5 anni , per cui non si sa se potrebbero esserci effetti avversi tardivi.

I primi casi di trapianto di cellule staminali ematopoietiche del midollo osseo in pazienti con lupus e altre malattie autoimmuni sono stati fatti con cellule di derivazione autologa o allogenica come trattamento antitumorale, ma i soggetti trattati avevano ottenuto anche la remissione della malattia autoimmune. Tuttavia, la procedura è risultata associata a una mortalità elevata e a gravi effetti collaterali.

Per migliorare la sicurezza, nei pazienti con lupus refrattari i ricercatori hanno iniziato a fare trapianti di cellule staminali del midollo associati a un condizionamento mieloablativo ed esclusivamente autologhi. Dopo 5 anni, circa la metà dei pazienti non aveva ancora avuto recidive.

In uno studio su 50 pazienti con lupus grave e refrattario trattati con quest’approccio, la mortalità associata al trattamento è risultata del 2% e dopo un follow-up medio di 29 mesi la sopravvivenza a 5 anni è risultata dell’84% e la probabilità di sopravvivenza libera da malattia è stata stimata intorno al 50%.

Con questo tipo di trapianto, gli effetti del trattamento non derivano direttamente dalle cellule staminali, ma dal regime di condizionamento, di solito a base di ciclofosfamide e una globulina anti-timociti, che ‘riprogramma’ il midollo osseo. "Eliminare i linfociti autoreattivi ricostituendo il sistema immunitario con cellule naive permette al sistema immunitario di ricominciare" ha detto Gilkeson.

Tuttavia, quest’approccio era ancora associato a una certa mortalità e non poteva essere utilizzato per i pazienti con gravi danni d'organo, per i quali questa procedura avrebbe potuto risultare letale.

Guardando avanti, invece, i ricercatori cinesi stanno prendendo in considerazione di fare uno studio randomizzato e controllato su pazienti con nefrite lupica in cui confrontare il trapianto con cellule staminali mesenchimali più steroidi con la terapia immunosoppressiva tradizionale, per esempio la combinazione di ciclofosfamide e steroidi.

Inoltre, lo Stromal Cell Group Cell della European League Against Rheumatism sta progettando uno studio in doppio cieco nel lupus renale .

"Per dimostrare definitivamente che queste cellule funzionano bisogna fare, naturalmente, studi controllati e randomizzati, ma i dati attualmente disponibili sia sul modello animale sia sull’uomo appaiono molto promettenti” ha concluso Gilkeson.

D. Wang, et al. Umbilical cord mesenchymal stem cell transplantation in active and refractory systemic lupus erythematosus: a multicenter clinical study" Arthritis Res Ther 2014; DOI: 10.1186/ar4520.
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