Il Meeting annuale dell'ACR al vaglio dell'occhio critico di un reumatologo italiano di grande "expertise" S. Francisco (USA) 24-29 ottobre 2008 Il Giornale del CROI ha chiesto a un reumatologo italiano - di chiara fama ed esperienza - di focalizzare i temi più scottanti ed interessanti trattati nel corso dell'ACR, svoltosi ad ottobre scorso a San Francisco. Il risultato è, a seguire, sotto i vostri occhi, sicuramente di grande efficacia, e leggerlo - ne siamo sicuri - produrrà un profitto nel comportamento clinico pratico in quelle situazioni di dubbio e di inesplorato che quotidianamente possiamo incontrare. L'American College del 2008 di Raffaele Numo Questa edizione del meeting annuale dell'American College of Rheumatology ha visto la partecipazione di circa 14mila specialisti, confermandosi l'evento scientifico al top nel panorama reumatologico mondiale. Impossibile descrivere il gran numero di sessioni molte delle quali in overlapping , e il gran numero di temi di interesse e di quelli emergenti, fra i quali di grande rilievo le puntualizzazioni in tema di terapie innovative che hanno dato luogo a Workshop sponsorizzati, ormai confinati alle ore tarde della giornata e caratterizzati da gran numero di partecipanti.
Qualche puntualizzazione di notevole interesse è apparsa nella sessione dedicata all'uso della ciclofosfamide nello sconfortante scenario terapeutico della sclerodermia. Questo tema è stato affrontato nel corso di un simposio clinico in un frame work, con presentazione dei pro- e dei contro- del trattamento con Cyx nelle varie forme di interessamento viscerale da sclerodermia dal titolo:"The great debate: should cyclophoshamide be considered disease modifying therapy for sclerodermia?"
I dati a favore presentati da D. Furst (UCLA) mostrano una modesta (quantunque reale) efficacia sia sulla funzione polmonare che sulla condizione complessiva del paziente , in una valutazione condotta su di un periodo di 18 mesi. Va sottolineato, comunque che un anno di terapia è un periodo troppo breve, anche se il trattamento mostra efficacia, non modifica sostanzialmente il decorso della malattia. Nel 2006 uno studio randomizzato in doppio cieco contro placebo, pubblicato sul NEJM (2006;354:26-55 ) aveva valutato l'effetto della ciclofosfamide orale sulla funzione polmonare e sui sintomi generali in una casistica di pazienti con alveolite e pneumopatia interstiziale mostrando che questa terapia sortiva un modesto effetto benefico, quantunque significativo sulla funzione polmonare, la dispnea, l'indurimento cutaneo e sui sintomi generali. Lo studio però durava solo un anno mentre l'effetto benefico si protraeva per altri sei mesi dalla sospensione, e sostanzialmente non modificava il decorso della malattia stessa.
Un solo studio condotto al di fuori dell'UK su una casistica ristretta di 24 pazienti ha confermato i risultati del NEJM relativi all'effetto benefico significativo (con un p-value di 0.08) , segnalando peraltro che a fronte di un effetto modesto sulla funzione polmonare pure si contrapponeva un effetto positivo sulle caratteristiche della qualità dell'atto respiratorio del paziente e sulla sua capacità di svolgere una attività. La controparte del dibattito è stata rappresentata da J.R. Seibold dell'Università di Ann Arbor, Michigan che ha rivisitato criticamente le evidenze sulla terapia con ciclofosfamide nella sclerodermia, valutando il rapporto rischio-beneficio, facendosi supportare anche da stringenti considerazioni di ordine immunopatogenetico giungendo alla conclusione che non esistono né evidenze teoriche sull'interferenza della sostanza nel meccanismo di induzione delle lesioni e ancor meno - in area clinica - della sua capacità di arrestare le lesioni, anche se la conclamata tossicità si limita fra gli effetti significativi ad alcuni casi di neutropenia e di ematuria.
Infine sia la ciclofosfamide che il metotrexate sono le due sole sostanze che sono state studiate in trial clinici randomizzati dimostrandosi efficaci e che restano a disposizione nell'armamentario dei reumatologi per il trattamento su pazienti sclerodermici selezionati, anche se, sorprendentemente, nessuno dei due farmaci, quantunque di comprovata efficacia è riconosciuto dalla FDA per questa indicazione. Si profila una sorta di "golden age of biologics" nel trattamento della AR giovanile. Partendo dalla considerazione che molti dei farmaci sin qui usati, anche se discretamente efficaci , sono caratterizzati da una tossicità potenziale spesso inaccettabile, la G.C. Higgins, reumatologa pediatra (Columbus, Ohio) nella lettura sullo stato dell'arte nel trattamento con biologici dell'artrite idiopatica giovanile, parla dell'inizio di una nuova età che definisce d'oro con risultati che non esita definire miracolosi. Però, pur riconoscendone l'efficacia e assenza di tossicità drammatica a breve, la reumatologa mostra consistenti perplessità sugli effetti long-term in pratica ancora sconosciuti.
Il problema non solo teorico è che i bambini non sono dei piccoli adulti, e non si conosce bene la loro reazione a fronte di somministrazioni di farmaci che agiscono in via multidirezionale; i bambini hanno un metabolismo differente dall'adulto e va anche considerato che ogni molecola ha potenzialmente la capacità di influire sui meccanismi di crescita e sviluppo; infine, anche in vista di un uso più prolungato di qualsiasi farmaco va tenuto a mente che il loro sistema immune è più sensibile a stimoli protratti.
La Higgins esamina dapprima i tre farmaci antiTNF-alfa, etarnecept, infliximab e adalimumab, partendo dal primo introdotto inizialmente nei casi resistenti ai tradizionali DMARD, ma poi approvato dalla FDA per il trattamento dei JRA prima nei bambini dai 4 anni e in secondo tempo dai 2 anni: trial clinici condotti in bambini con forme poliarticolari ha dimostrato che le riesacerbazioni nei piccoli sotto etarnecept, sono di entità percentualmente inferiori ai casi sotto placebo (1% vs 72%) e che a 8 anni dall'inizio del trattamento, il 61% dei pazienti è sotto terapia con una risposta ACR70.
Diversi i risultati con adalimumab approvato solo quest'anni per la JRA poliarticolare in pazienti in età compresa fra 4 e 17 anni : nel trial relativo il 43% dei pazienti sotto adalimumab senza precedente trattamento con metotrexate aveva delle riaccensioni della malattia contro il 71% dei casi con placebo; la percentuale di riaccensioni scendeva al 37% nei casi trattati con adalimumab e contemporaneamente con metotrexate contro il 65% dei casi sotto placebo: a 48 settimane la percentuale dei pazienti trattati con metotrexate con risposte ACR pediatrico di 30,50,70 o 90 erano significativamente maggiori per quelli che erano sotto adalimumab che per quelli sotto placebo. La differenze fra pazienti non trattati con metotrexate che ricervevavo adalimumab e quelli che ricevevano placebo non apparivano significative.
Infliximab non è approvato dalla FDA, ma è stato usato in off label: un trial del 2006 pubblicato nel 2007 ha confrontato infliximab e placebo, dimostrando che la differenza nella risposta non era significativa (il 64% contro il 49% nell'ACR pediatrico 30 alla 14° settimana). Fra i farmaci innovativi non-antiTNF-alfa è stato anche condotto in pazienti con risposta inadeguata o con intolleranza a DMARD tradizionali e antiTNF un trial con abatacept (una proteina di fusione che interferisce nei meccanismi di trasmissione nei messaggi intercellulari , approvato dalla FDA nella JRA recentemente): i risultati hanno dimostrato che nel gruppo di pazienti trattati con abatacept, l'80% non andava incontro a riaccensioni della malattia contro il 47% dei casi sotto placebo.
E' evidente che i risultati devono essere confermati e validati su casistiche più ampie ma già da ora si può intravedere un orizzonte terapeutico più ampio per i piccoli pazienti, mentre si fa più pressante - anche per i piccoli pazienti - la necessità di personalizzare il trattamento Un tema di immediato interesse per il reumatologo clinico cioè quello dell'efficacia e del timing delle vaccinazioni nei pazienti reumatici, specie se in trattamento con farmaci immunodepressori, ha costituito oggetto di una sessione dell'ACR dal titolo "Immunization in Immunosuppressed host".
Camille N. Kotton ha richiamato l'attenzione sul problema che ogni reumatologo affronta in presenza di un soggetto che a causa della malattia e ancor più del trattamento presenta un rischio doppio di sviluppare infezioni rispetto al soggetto normale. Fra quelli di maggior utilizzo i vaccini contro l'influenza e lo streptococco appaiono sicuri ed immunogenici e sono peraltro raccomandati sia dall'ACR che dai Centers for Disease Control and Prevention (CDC).
Al contrario, tutti i vaccini con organismi viventi (come il vaccino vivo nasale contro l'influenza) devono essere evitati quando si ha a che fare con soggetti seriamente immunodepressi. Da questo deriva che non si possono considerare immunizzati soggetti nei quali viene condotta una immunodepressione in tempi molto ravvicinati alla vaccinazione (fra 7 e 20 gg). Varrà la pena di ripetere la vaccinazione evitando sia i periodi di intensa immunodepressione che di intensa attività di malattia. Per la varicella la maggior parte degli americani è già sieropositiva con una percentuale prossima al 95% prima dei 30 anni, anche in quelli che affermano di non esserne mai stati colpiti. Nelle regioni tropicali una percentuale prossima al 30 % risulta ancora suscettibile alla varicella al di sotto dei 20 anni di età.
Per le indicazioni per la vaccinazione con vaccino per Herpes zoster la Kotton rimanda alle raccomandazioni dell'ACR hotline del 1 agosto, relativo al vaccino con Herpes Zoster nei pazienti immunosoppressi. Inoltre in tutti i pazienti reumatoidi sotto terapia con sulfasalazina , metotressato o leflunomide è da evitare l'uso di preparati a base di vaccini vivi virali; ma sono da usarsi solo vaccini inattivati e ciò vale anche nei soggetti in terapia con farmaci cosiddetti "biologici" .
Però non si fa menzione se i vaccini vivi siano sicuri in pazienti sotto MTX o cortisonici. La presentazione richiama - come momento di speculazione - la rilevanza della vaccinazione nella comparsa di patologie reumatiche in soggetti dopo la vaccinazione, lasciando intravedere una possibile responsabilità della protratta e persistente risposta autoimmune, ne è possibile pronunciare una parola definitiva, dato il carattere di segnalazione episodica e la assenza di studi prospettici o con larghe coorti in questa situazione. Un aspetto particolare è rappresentato dalla vaccinazione in familiari di immunodepressi, nei quali sarebbero ancora da evitare i vaccini vivi della influenza della polio (orale) e del vaiolo. Inoltre non vi è alcuna controindicazione a sottoporre a vaccinazione per varicella, parotite febbre gialla, familiari di immunodepressi. Viaggi internazionali in zone a rischio pongono dei problemi non solo relativi alle vaccinazione, ma anche alle precauzioni riguardanti esposizioni solari, cibo, contati sessuali, acqua, zanzare, etc. Argomenti trattati estesamente sul sito www.cdc.gov/vaccines/recs/schedules/adult-schedule.htm oppure www.cdc.gov/vaccines/default.htm o ancora http://www.mdtravelhealth.com/.
Argomento negletto in tempo di frenetica ricerca del nuovo è quello delle condizioni che possono mimare un'artrite, con particolare attenzione alla patologia dell'infanzia determinando sia errori nella diagnosi che ritardi nell'uso di una terapia appropriata. Tema trattato nel corso di una sessione dei simposi clinici dell'ARC (Cautionary tales: mimics of the arthritis) da tre esperti che hanno affrontato tre diversi aspetti peculiari: "Connective tissue diseases: hypermobility, Marfans and Ehlers Danlos Sindrome " (P:H: Byers), "Cancer Masquerading as Arthritis "(B.S.Gottlieb) e "Sarcoidosis: not just a problem of breathing" (C.H. Wouters). La sindrome da ipermobilità che caratterizza queste due condizioni (sindrome di Marfan e sindrome Ehlers Danlos), resta la causa più frequente di artralgia nei bambini, nei quali può costituire sino al 20% il momento patogenetico di un dolore articolare cronico (P.H.Byers). Una delle cause di maggior apprensione in Pediatria resta quella di non considerare fra le ipotesi diagnostiche una malattia proliferativa ematologica, in presenza di una sindrome artralgia, ancor prima che appaiano le manifestazioni ematologiche e cliniche; si devono considerare non solo la leucemia, il linfoma e il neuroblastoma, ma anche le neoplasie primarie dell'osso, sino al rarissimo sarcoma sinoviale, che si può presentare come una monoartrite.
Per la diagnosi differenziale fra ARG e leucemia dell'infanzia, Gottlieb rimanda all'articolo pubblicato su Pediatrics Maggio 2006, e richiama l'attenzione sull'osservazione che anche un chiaro versamento può costituire la manifestazione di una neoplasia dell'infanzia, nella quale la sintomatologia può esser determinata sia dalla massa stessa che dalla sua infiltrazione dei tessuti muscoli o articolazioni: caratteristica può essere nell'infanzia una intensa sintomatologia dolorosa a fronte di un reperto obbiettivo di un modesto versamento e esami bioumorali del tutto discordanti (ad esempio VES elevata e bassa quota di leucociti e piastrine). La sarcoidosi genera nella patologia pediatrica sia la sindrome da attivazione macrofagica che difetti della crescita ossea e minerale fra i piccoli con artrite cronica e l'artrite granulomatosa pediatrica. (Wouters).
Il rinnovato interesse per le B cell ha incontrato il tema della sessione sulla Basic Science su "B cells in Autoimmune Diseases" : da questo interesse prevalentemente clinico è scaturita tutta una serie di ricerche che hanno gettato nuova luce sul ruolo di queste cellule: la dr.ssa A. Finnegan, partendo dalle esperienze bel modello di artrite sperimentale, ha cercato di delucidare un meccanismo di azione possibile dell'ab monoclonale rituximab nella terapia dell'Artrite Reumatoide e di spiegare perché l'ab risulti attivo solo nel 50% dei casi. La ricercatrice ha ipotizzato che le B cellule, autoreattive, rivelino diverse funzioni: le B cell antigene-specifiche sono necessarie per lo sviluppo dell'artrite come cellule ab-produttrici, ma anche come cellule ag-presenting. La produzione e di ab e di immunocomplessi rivestono un ruolo fondamentale nello sviluppo della patologia autoimmune: questo ultimi attivano il complemento ed anche i recettore Fc gamma, mentre per altro verso quando la B cell funge da antingen- presenting, è in grado di attivare anche la popolazione T linfocitaria. Dunque ne scaturisce una visione quasi multi potente della B cell non solo quindi come elemento finale effettore.
A.H. Radbruch, del German Arthritis Research Center di Berlino, sposta l'attenzione sulle cellule derivative dalle B cell, e cioè le plasmacellule che insieme alle B cell giocano un ruolo chiave nella patogenesi della patologia di molte malattie reumatiche. Il dato su cui si ferma l'autore è quello della dimostrata esistenza di un clone di plasmacellule cosiddette "long-lived" che rappresentano una unità la cui sopravvivenza è indipendente dalle B cell e sensibile solo a segnali provenienti dall'ambiente, sia nel tessuto infiammato che nel midollo. Costituiscono un bersaglio potenziale separato, non agevolmente raggiungibile alla immunoterapia, ed essendo in grado di produrre immunoglobuline nell'ordine di migliaia di molecole nell'unità di tempo, ed ancora di esser resistenti non solo alla terapia convenzionale con ciclofosfamide, ma addirittura alla irradiazione e al rituximab, finiscono con il costituire un continuo perenne serbatoio di cellule in grado di determinare una riaccensione della patologia autoimmune, conficcate così come sono nel midollo osseo. In tal modo perpetuano la malattia anche se questa appare sotto controllo o in remissione. Così è più agevole spiegare perché in molti pazienti non si riesce ad avere né una remissione e ancor meno una sorta di eradicazione della malattia anche sotto ab anti B cell.
Il dr. M. Clark, del Centro per la ricerca sul Lupus dell'Università di Chicago, ha invece spostato la sua attenzione sull'intervento delle B cell nella nefrite lupica: in questa esistono due distinti meccanismi, uno ben noto che prende origine da una condizione di autoimmunità sistemica e dalla deposizione di fibrina nei glomeruli aggrediti, e l'altro, attivo in oltre una metà dei pazienti, che si sviluppa localmente nel rene e che porta ad una sorta di "infiammazione interstiziale", con conseguente cicatrice. In questi pazienti la interazione locale cioè a livello del rene fra B cell e T cell, porta alla formazione locale e alla dismissione di ab patogenetici reattivi contro antigeni espressi dai tubuli. I dati raccolti dal gruppo di Chicago indicano che questi pazienti - de facto - sono colpiti da una infiammazione autoimmune intrinseca, che si manifesta come una sclerosi interstiziale che procede sino all'insufficienza renale.
Fra i simposi satelliti merita una segnalazione quello supportato da un grant educazionale di Abbott sul tema " Redifining clinical outcomes in Rheumatoid Arthritis and Spondyloarthropathy with biological therapy." Scopo dell'incontro era quello di definire la valutazione dell'outcome di questa classe di farmaci non solo sulla base dei risultati clinici sull'artrite ma anche su altri parametri quali la qualità della vita, il rischio cardiovascolare, la riduzione dell'attesa di vita, la riduzione della capacità lavorativa, etc. In altre parole affrontare l'affascinante tema del pleiotropismo degli effetti dei farmaci biologici.
J. Cush ha preso in considerazione il trend verso la riduzione della ospedalizzazione per polmonite in corso di trattamento con anti-TNF: dopo un iniziale periodo di incremento di questi ricoveri, negli ultimi quattro anni si è registrata una stabilizzazione, verosimilmente per una maggiore attenzione verso questa temibile complicanza infettiva. Analogamente (Wolfe F) è stata dimostrata una riduzione della ospedalizzazione dei pazienti sotto anti-TNF. Sorprendente inoltre che la associazione anti-TNF e MTX riduca dell'80% il rate di infarto miocardico rispetto al solo MTX. (Singh G.).
R. van Vollenhoven ha spostato l'attenzione sulla cosiddetta " Health -related quality of life" che correla in modo inversamente proporzionale con la funzione misurata con l'HAQ: esiste un altro possibile strumento di misurazione della efficacia dei biologici, mentre una significativa riduzione del rischio cardiovascolare è stato dimostrato da Singh G (Ann Rheum Dis.2007 (suppl II):84); lo stesso van Vollohoven ha dimostrato ancora una significativa riduzione dell'assenteismo in pazienti sotto Adalimumab in confronto al gruppo in placebo. Infine dalla partecipazione nelle diverse sessioni si ricava netta l'impressione che, l'armamentario terapeutico, costituito dai farmaci di ingegneria molecolare ormai assunti con il termine di "biologici", negli anni prossimi si arricchirà in modo sicuramente rilevante (certolizumab, golimumab, ustekinumab, etc). Torna all'archivio