Nei pazienti affetti da artrite reumatoide (AR), il trattamento con inibitori del TNF sembra ridurre la probabilità di sviluppare la malattia di Alzheimer, stando ai risultati di una ricerca presentata in occasione dell'ultimo congresso dell'American College of Rheumatology (ACR), terminato da poco ad Atlanta.
Lo studio, di tipo caso-controllo, ha evidenziato che l'assunzione di un anti-TNF è associata in modo significativo a un minor rischio di Alzheimer, con un odds ratio aggiustato pari a 0,44 (IC al 95% 0,223-0,868; P = 0,0178). Non è stata invece rilevata un'associazione tra riduzione del rischio di Alzheimer e altri farmaci utilizzati per la cura dell'AR, tra cui prednisone, sulfasalazina e rituximab.
I meccanismi molecolari alla base dell'AR e dell'Alzheimer non sono ancora del tutto chiariti, ma il trait d'union tra le due condizioni potrebbe essere rappresentato proprio dal TNF, una citochina infiammatoria coinvolta in entrambe le patologie. Infatti, è risaputo che il TNF è presente nella sinovia dei pazienti con AR, ma la citochina è stata trovata anche nel liquido cerebrospinale di malati di Alzheimer ed è correlata con la progressione della malattia. Inoltre, lo stato di infiammazione cronica associato all'AR porta alla deposizione di proteina amiloide, mentre la malattia di Alzheimer è caratterizzata dalla presenza di beta-amiloide nel cervello.
Gli autori del lavoro presentato all'ACR hanno dunque deciso di esplorare il legame tra le due patologie e i particolare il ruolo del TNF; a tale scopo hanno utilizzato un database che contiene i dati di 8,5 milioni di cittadini americani adulti e in questa coorte hanno identificato 41.109 soggetti con una possibile AR, 11.982 con una demenza e 458 con entrambe le malattie, calcolando quindi una prevalenza complessiva dell'Alzheimer pari all'1,11% nei soggetti con AR contro solo lo 0,14% in quelli senza artrite (P < 0,0001).
Dopo aver escluso i soggetti con altre diagnosi quali l'artrite psoriasica, malattia infiammatoria cronica intestinale o un precedente ictus e quelli che non avevano avuto un‘esposizione sufficiente al farmaco, hanno identificato 165 casi affetti da entrambe le malattie e li hanno confrontati con 1.383 controlli colpiti da AR ma non da demenza.
Hanno quindi preso in esame varie comorbidità che avrebbero potuto aumentare il rischio di demenza, trovando un'associazione tra aumento del rischio e coronaropatia, diabete e vasculopatia periferica, con valori di P rispettivamente pari a 0,0284, 0,004 e 0,0248.
I ricercatori hanno quindi vagliato i farmaci anti-reumatici assunti dai pazienti, tra cui prednisone, sulfasalazina e rituximab e tre inibitori del TNF (infliximab, etanercept, adalimumab). L'analisi non aggiustata ha evidenziato che solo il trattamento con questi ultimi era associato a una riduzione del rischio di Alzheimer (OR 0,450; IC al 95% 0,226-0,895; P = 0,023) e tale riduzione è risultata significativa anche aggiustando l'analisi in base alle tre comborbidità sopra riportate (OR 0,448; IC al 95% 0,225-0,892; P = 0,0222).
Stratificando i dati in base al tipo di anti-TNF utilizzato, la riduzione del rischio è risultata significativa solo per l'etanercept (P = 0,024). Secondo gli autori, dunque, questi risultati suggeriscono che il TNF potrebbe svolgere un ruolo importante nella patogenesi della malattia di Alzheimer.
Chou R, et al. Tumor necrosis factor inhibition reduces the incidence of Alzheimer's disease in rheumatoid arthritis patients. ACR 2010; Abstract 640Torna all'archivio