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Giornata Mondiale del Lupus, i pazienti con LES non sono maggiormente a rischio di contrarre l'infezione Coronavirus

L’emergenza legata alla pandemia da Coronavirus ha avuto un enorme impatto sulla vita di tutti, ma ancora di più sulla vita dei malati affetti da patologie croniche autoimmuni come il lupus eritematoso sistemico (LES) che, soprattutto all’inizio dell’epidemia in Italia, hanno temuto di essere maggiormente a rischio di contrarre l’infezione e che il decorso della patologia potesse essere più aggressivo, come spiega la dott.ssa Maria Gerosa, responsabile dell’ambulatorio dedicato al Lupus della UOC di Reumatologia Clinica dell’ASST Gaetano Pini-CTO: “Nei pazienti affetti da LES le alterazioni della risposta immunitaria caratteristiche di questa malattia, ma ancora di più la terapia con farmaci immunosoppressori, generalmente espongono a un maggior rischio infettivo. Tuttavia, i dati attualmente disponibili, sebbene ancora preliminari e limitati, non sembrano indicare un maggior rischio di infezione da Coronavirus o di complicanze severe nei pazienti affetti da malattie reumatiche, compreso il lupus eritematoso”.

In occasione della Giornata Mondiale contro il Lupus che si celebra il 10 maggio, il team di reumatologi, coordinati dal Direttore del Dipartimento di Reumatologia e Scienze Mediche dell’ASST Gaetano Pini-CTO, prof Roberto Caporali, di cui fa parte la dott.ssa Gerosa ha reso noto il risultato del monitoraggio costante nei mesi lo stato dello salute dei pazienti affetti dal LES e l’impatto che la pandemia ha avuto e sta avendo su di essi: “Nella maggior parte dei casi i pazienti affetti da LES, abituati a prestare molta attenzione sempre alle situazioni di potenziale rischio infettivo, fin dalle prime fasi di questa pandemia hanno messo scrupolosamente in atto tutti quei comportamenti raccomandati dal Ministero della Salute, per ridurre al minimo il contagio. Molti hanno iniziato a usare la mascherina ancora prima che questo fosse obbligatorio e la maggior parte, ancor prima del lock-down, si è organizzata per fare smart working e ridurre al minimo i contatti con l’esterno”.

L’indicazione più importante che è stata data ai pazienti è l’assoluta necessità di non modificare la terapia anche se lo stravolgimento delle normali attività cliniche, che negli ultimi due mesi sono state limitate alle visite urgenti e non differibili, ha di fatto ridotto la possibilità dei pazienti di accedere alle strutture sanitarie presso le quali erano abitualmente seguiti. “Sebbene il trattamento sia nella maggior parte dei casi basato sull’utilizzo di farmaci immunosoppressori – spiega la dott.ssa Gerosa – è indispensabile che questi siano proseguiti anche durante questa epidemia. È infatti dimostrato che uno scarso controllo della malattia reumatologica espone a un maggior rischio di infezione. Va inoltre ribadito che in una situazione di emergenza del sistema sanitario come quella a cui abbiamo assistito, sebbene negli ultimi giorni si stia lentamente normalizzando, renderebbe più complessa la gestione clinica di una riattivazione di malattia”.

Un’ultima questione che ha focalizzato il dibattito in queste settimane riguarda l’idrossiclorochina, un farmaco che è abitualmente usato nella cura dei pazienti affetti da LES su cui interviene il prof. Roberto Caporali, Direttore del Dipartimento di Reumatologia dell’ASST Gaetano Pini-CTO: “Attualmente esistono diversi studi clinici che si propongono di determinare se questo farmaco possa avere un ruolo nel trattamento del Covid-19. Non ci sono invece studi che abbiano al momento valutato un possibile ruolo preventivo di questa terapia per lo sviluppo di infezione. L’utilizzo di idrossiclorochina per il trattamento dei pazienti con Covid-19 ha creato qualche difficoltà a reperire il farmaco da parte dei malati reumatologici che però nell’ultimo periodo sono in via di risoluzione anche per un impegno della ditta produttrice ad aumentarne l’approvvigionamento nelle farmacie”.


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