Malattie reumatiche

Artrosi e biomarcatori, oggi e domani

A differenza di altre condizioni che interessano le articolazioni, l’osteoartrosi ancora oggi non dispone di biomarcatori diagnostici, prognostici e terapeutici validati e utili nella pratica clinica.
Per tale ragione, la European Society for Clinical and Economic Aspects of Osteoporosis and Osteoarthritis (ESCEO) ha dato vita ad un gruppo di lavoro volto ad approfondire il ruolo dei marcatori biochimici del metabolismo della matrice nello sviluppo di nuovi farmaci per l’osteoartrosi.

Di grande interesse clinico e scientifico, i temi dibattuti durante meeting del gruppo di lavoro ESCEO del 2012 sono stati recentemente pubblicati su Annals of the Rheumatic Diseases (1).
L’osteoartrosi (OA) è una condizione che colpisce l’intera struttura articolare con degenerazione progressiva della cartilagine, dei menischi, dei legamenti e dell’osso subcondrale, spesso associata a infiammazione della sinovia.
La diagnosi è attualmente basata su tecniche di imaging, ma possibile solo in fase avanzata di malattia. Da qui l’urgenza di identificare e validare biomarcatori precoci di malattia, utili anche per lo screening della popolazione più a rischio e per il follow up del trattamento.

Per il National Institutes of Health (NIH) il biomarcatore è “una caratteristica misurabile in maniera obiettiva e valutata come indicatore di un normale processo biologico, patogenetico o di risposta farmacologica ad un intervento terapeutico”.
I marcatori di imaging, dalla risonanza magnetica all’ecografia, possono essere utili biomarcatori nella valutazione dell’OA e nello sviluppo di nuovi farmaci. Ad esempio, la risonanza magnetica quantitativa si è dimostrata promettente nella valutazione delle variazioni di volume e spessore della cartilagine. Tuttavia, dati i costi elevati, la disponibilità di strumenti e l’assenza di uno score internazionale validato, l’uso di questa tecnica è ancora molto limitato.

Un’alternativa altrettanto promettente, ma più economica e scalabile, è rappresentata dalla determinazione di marcatori biochimici nel sangue, nelle urine o nel liquido sinoviale, che potrebbero riflettere variazioni dinamiche e quantitative del rimodellamento dell’articolazione e, quindi, della progressione della malattia.
Nell’ambito della OA, un biomarcatore può essere rappresentato da una molecola effettrice (ad esempio, un operatore di danno articolare), il risultato del danno articolare o entrambi, come si è osservato per i frammenti della matrice extracellulare della cartilagine, primi fra tutti l’acido ialuronico.
Questi biomarcatori possono essere utili nelle fasi precoci della valutazione dell’efficacia e della sicurezza dei cosiddetti “disease-modifying osteoarthritis drugs” (DMOAD), i nuovi farmaci impiegati nel trattamento dell’OA.

Il gruppo di lavoro ESCEO ha esaminato tutti gli articoli, le review e gli abstract, pubblicati dal 1994 al settembre 2012, identificati attraverso PubMed/MEDLINE ed EMBASE. La ricerca iniziale aveva dato luogo a 149 risultati. Il Prof. Martin Lotz, reumatologo presso il dipartimento di medicina molecolare e sperimentale del California Campus, ed i suoi colleghi hanno selezionato un totale di 66 articoli, sulla base della loro qualità e pertinenza rispetto ai temi trattati dal gruppo di lavoro.
Molti dei biomarcatori attualmente studiati sono associati al metabolismo del collagene o degli aggrecani. Altri biomarcatori sono invece collegati a proteine diverse, coinvolte nei processi di infiammazione e fibrosi.

Nessuno dei biomarcatori attualmente identificati è abbastanza discriminativo da poter supportare la diagnosi o la prognosi fra soggetti con o senza malattia, né risulta così affidabile da poter essere utilizzato come outcome surrogato nell’ambito dei trial clinici, ad esempio come endpoint secondario o di supporto.
“Pochi i candidati promettenti”, sostiene l’ESCEO. I più promettenti sono i biomarcatori del metabolismo della cartilagine, ma non si esclude che anche quelli prodotti dalla “degradazione del tessuto sinoviale possano diventare utili in futuro”. “In questo contesto, gli studi sul proteoma del liquido sinoviale stanno esplorando il contributo dell’immunità innata e la cascata del complemento.
Sulla base del parametro che sono chiamati a valutare, i biomarcatori della OA possono essere classificati come diagnostici, prognostici, investigativi, terapeutici e dell’attività di malattia. Fra i candidati più papabili, il gruppo ESCEO cita i seguenti biomarcatori.

Diagnostici
•    telopeptide C-terminale urinario del collagene di tipo II (CTX-II)
•    peptide Glc-Gal-Pyd urinario
•    propeptide N-terminale del collagene di tipo II (PIINP)
Sono risultati tutti aumentati nei pazienti con OA e correlano con l’area della superficie articolare. Tuttavia tali marcatori non discriminano correttamente fra soggetti sani e patologici.

Prognostici
•    Telopeptide C-terminale urinario del collagene di tipo II (CTX-II): i soggetti positivi per questo marcatore avevano un rischio 6 e 8 volte più elevato di progressione radiologica dell’OA del ginocchio e dell’anca, rispettivamente (2). I dati suggeriscono che CTX-II possa essere un marcatore di turnover osseo, piuttosto che un marcatore di danno cartilagineo.
•    Recettori solubili di adiponectina, visfatina e leptina: trovati aumentati nel sangue di pazienti con OA, sembrano correlare con la progressione della OA della mano, con la perdita di volume della cartilagine nella OA del ginocchio e con la progressione radiografica nella OA dell’anca.
•    Proteina C reattiva ad alta sensibilità (hs-PCR) e IL-6: sembrano essere fattori predittivi di perdita di cartilagine e di una scarsa risposta all’intervento di artroprotesi totale nell’OA del ginocchio. Il loro limite è la bassa specificità, in quanto implicati in numerose altre condizioni infiammatorie.
Investigativi
Le ricerche “omiche” stanno oggi identificando un ampio numero di nuovi potenziali biomarcatori, ma solo pochi di questi sono stati ad oggi validati. I biomarcatori più promettenti potrebbero derivare da studi di:
•    Genomica: hanno individuato polimorfismi genetici legati al danno della cartilagine e 8 nuovi loci genici associati ad un rischio più elevato di sviluppare OA. Gli studi genetici possono fornire indicazioni importanti sui meccanismi etiologici della malattia.
•    metabolomica:  promettenti nell’identificare nuovi biomarcatori serici, quali ad esempio il rapporto fra aminoacidi ramificati e istidina.
•    Proteomica: uno studio ha identificato 4 nuovi potenziali biomarcatori che correlano con parametri quali infiammazione, rimodellamento osseo e turnover della cartilagine.
•    Lipidomica: suggeriscono alterazioni del metabolismo lipidico in corso di OA. Ad oggi non sono ancora disponibili dati significativi.
Terapeutici
Numerosi studi sono stati in grado di associare l’efficacia dei trattamenti per l’OA ai livelli urinari di CTX-II. L’impiego di biomarcatori nella valutazione dell’efficacia dell’intervento è fortemente limitato dall’assenza di DMOAD di provata efficacia. Molti agenti utilizzati nell’OA hanno infatti dati risultati inconsistenti con i vari biomarcatori.
Fra questi gli autori citano anche il ranelato di stronzio, un farmaco approvato per l’osteoporosi e potrebbe essere efficace anche nell’OA, se non fosse per le recenti restrizioni imposte dal Comitato dell'Agenzia per i medicinali per uso umano (CHMP), specialmente nei pazienti a rischio di eventi cardiovascolari. 
 
Biomarcatori dell’attività di malattia
•    CTX-II: La degradazione che produce CTX-II urinario correla bene con la presenza di osteofiti visibili all’esame radiografico nella maggior parte delle articolazioni colpite da OA e può rappresentare un biomarcatore quantitativo sensibile per la valutazione della gravità di malattia della OA.
•    Aggrecani: i livelli di frammenti di aggrecani del liquido sinoviale possono discriminare fra OA lieve e moderata in termini di score radiografico di restringimento dello spazio articolare (JSN), dolore e funzionalità (3).
•    Adipochine (adiponectina, visfatina e leptina): citochine pro-infiammatorie generalmente prodotte dal tessuto adiposo, ma espresse anche da osteoblasti, sinoviociti e condrociti. Sono coinvolte nell’infiammazione articolare e nella degradazione della matrice extracellulare. IN particolare adiponectina e leptina, misurate nel liquido sinoviale di pazienti con OA, correlavano con la gravità della malattia (4, 5). 

Le prospettive future includono l’esplorazione dei meccanismi sottostanti la malattia e lo sviluppo di nuovi biomarcatori. Queste le necessità che, secondo gli autori, la ricerca deve soddisfare: “sviluppo tecnologico a supporto delle tecniche “omiche”, implementazione e messa a punto di indici di biomarcatori combinati a score di imaging in un unico algoritmo diagnostico, approfondimento della relazione fra biomarcatori e prognosi”.

Un insieme di biomarcatori ben selezionati può anche essere d’aiuto nell’identificare i pazienti che avranno più probabilità di rispondere ad un dato trattamento (medicina personalizzata).
“In teoria, individuare i soggetti responder potrebbe ridurre i costi del trattamento eliminando le prescrizioni ridondanti e aumentando i benefici per i pazienti”, spiegano il Prof. Martin Lotz ed i suoi colleghi. “Il pannello ideale dovrebbe includere, ad esempio, biomarcatori tessuto-specifici di turnover, di sintesi e di degradazione”.

Quali sono i limiti della ricerca di biomarcatori?
Errori nelle analisi, legati ad esempio al campionamento, a variazioni biologiche (stagionali, diurne, alimentari), alle caratteristiche degli analisi, al saggio condotto o ai parametri stabiliti o valutati, possono confondere i risultati.
Tali errori potrebbero essere risolti con ulteriori ricerche volte a migliorare lo sviluppo delle tecniche e dei saggi, la standardizzazione e la calibrazione di biomarcatori noti, nonché l’ottimizzazione nella raccolta dei dati.

Il gruppo di lavoro ESCEO è quindi giunto alla conclusione che “vi è un potenziale ruolo dei biomarcatori nello sviluppo di farmaci per l’osteoartrosi”. Tuttavia, nessuno dei migliori candidati è ancora entrato a far parte della pratica clinica.
Per il momento le misure radiografiche combinate a dolore e funzionalità dell’articolazione colpita rimangono gli endpoint primari nello sviluppo dei DMOAD.

“I dati radiografici, in futuro, dovrebbero essere sostituiti dagli score ottenuti alla risonanza magnetica”. Invece i biomarcatori, più difficili da impiegare come endpoint primari, “potranno comunque essere utilizzati come secondari nello sviluppo futuro di farmaci in quanto in grado di fornire evidenze su farmacodinamica e meccanismi d’azione, supporto agli endpoint primari e aiuto nell’identificare subset di malattia”, concludono gli autori.

Francesca Sernissi

Riferimenti
1.    Lotz M, et al. Value of biomarkers in osteoarthritis: current status and perspectives. Ann Rheum Dis. 2013 Nov 1;72(11):1756-63.
2.    Reijman M, Hazes JM, Bierma-Zeinstra SM, et al. A new marker for osteoarthritis: cross-sectional and longitudinal approach. Arthritis Rheum 2004;50:2471–8.
3.    Larsson S, Englund M, Struglics A, et al. The association between changes in synovial fluid levels of ARGS-aggrecan fragments, progression of radiographic osteoarthritis and self-reported outcomes: a cohort study. Osteoarthritis Cartilage 2012;20:388–95.
4.    Ku JH, Lee CK, Joo BS, et al. Correlation of synovial fluid leptin concentrations with the severity of osteoarthritis. Clin Rheumatic 2009;28:1431–5.
5.    Schaffler A, Ehling A, Neumann E, et al. Adipocytokines in synovial fluid. JAMA 2003;290:1709–10.

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