Artrite reumatoide, una dozzina di marker biologici identifica pazienti a rischio comorbilità CV
Venerdi 5 Gennaio 2018
Livelli più elevati di attività di artrite reumatoide (AR), misurati mediante un panel di 12 marker biologici (MBDA), sembrano essere associati a tassi più elevati di infezioni ospedaliere, infarto del miocardio e coronaropatia. Questi i risultati di uno studio, pubblicato su ARD, che conferma la validità predittiva di questo tool di attività di malattia, attualmente disponibile negli USA, e già utilizzato dal programma USA di assistenza sanitaria pubblica (Medicare) per la gestione dei pazienti statunitensi affetti da AR.
Questo sistema di classificazione dell'attività di malattia mediante punteggio da 0 a 100, che si basa sullaa misurazione dell'attività di malattia mediante un panel di 12 marker biologici, individua, con punteggi inferiori a 30, una ridotta attività di malattia, da 30 a 44 un'attività di malattia moderata e sopra 44 un'attività di malattia notevole.
Per l'analisi in questione, i ricercatori hanno utilizzato i dati delle prestazioni offerte dal programma Medicare dal 2010 al 2014, legando tale informazioni ai punteggi MBDA sopra indicati.
Gli outcome analizzati dai ricercatori sono stati quelli relativi alle ospedalizzazioni per polmonite/sepsi, infarto del miocardio e un outcome composito legato alla coronaropatia. Per valutare l'associazione esistente tra i punteggi MBDA e gli outcome sopra indicati, i ricercatori hanno utilizzato i modelli di Cox, corretti per eventuali fattori confondenti.
Sulla base di queste condizioni, sono stati sottoposti ad analisi per insorgenza di infezioni serie e per i due outcome CV sopra indicati, rispettivamente 17.433 e 16.796 pazienti con AR.
Questi erano in prevalenza di sesso femminile (79%), con un'età media di 69 anni. L'81% del campione era di etnia Caucasica mentre il 38% era affetto anche da disabilità.
I pazienti in questione utilizzavano MTX (54%), GC orali (53%), DMARDs (40%) e DMARDb (17%) per trattare l'AR.
Analizzando le caratteristiche dei pazienti appartenenti alla categorie con punteggi MBDA inferiori, è emerso che questi erano più giovani (differenza di età pari a 3 anni), meno complicati, meno sottoposti a trattamento con GC e, al contrario, trattati in maggior misura con farmaci biologici rispetto ai pazienti con punteggio MBDA più elevati.
Dai risultati è emerso che punteggi al test MBDA più elevati erano associati ad un incremento dell'incidenza di infezioni serie (HR=1,32 per incremento di 10 punti; IC95%= 1,23-1.41).
Punteggi superiori a 30, inoltre, sono risultati associati anche ad incremento di incidenza di infarto del miocardio (HR= 1,52 per incremento di 10 punti; IC95%= 0,92-2,49) e di coronaropatia (HR=1,54; IC95%= 1,01-2,34) rispetto a punteggi inferiori a questo valore soglia.
Dal momento che i livelli di CRP, uno dei biomarker inclusi nello score MBDA, potrebbero influenzare gli outcome, i ricercatori hanno condotto anche un'analisi di sensitività, escludendo il contributo di questo parametro al computo dello score. I risultati ottenuti sono risultati simili a quelli sopra indicati: nei pazienti appartenenti alla categoria di attività di malattia più elevata, il rischio di coronaropatia e di infarto del miocardio è risultato, rispettivamente, 1,5 e 1,7 volte più elevato rispetto a quanto osservato nei pazienti con attività di malattia inferiore.
In conclusione, lo studio ha dimostrato come punteggi MBDA maggiori si associno ad un numero maggiore di infezioni serie, infarto del miocardio e coronaropatia in una popolazione di pazienti USA con AR, prevalentemente anziani.
Nel commentare i risultati, gli autori dello studio hanno tuttavia suggerito cautela nella loro interpretazione: tali dati, infatti, vanno contestualizzati alla luce del disegno dello studio, che ha incluso prevalentemente pazienti anziani.
“Ciò premesso – concludono – dato che la prevalenza dei fattori di rischio di infezione e di coronaropatia aumenta generalmente con l'età, è possibile ipotizzare che le associazioni documentate tra l'attività di AR e gli outcome sopra citati possano essere ancora più stringenti nei pazienti con AR più giovani”.
Nicola Casella
Bibliografia Curtis J, et al "Biomarker-related risk for myocardial infarction and serious infections in patients with rheumatoid arthritis: a population-based study" Ann Rheum Dis 2017; doi: 10.1136/annrheumdis-2017-211727. LeggiTorna all'archivio