Rimuginando sul futuro della reumatologia italiana
Domenica 16 Settembre 2012
di Stefano Stisi
La ripresa delle attività sociali dopo la pausa estiva ci porta ad analizzare il momento della nostra branca, mai così in splendore per rappresentatività internazionale (presidenza EULAR), ma sempre più in pericolo di esistenza nelle Università, negli Ospedali e nelle ASL italiane in questo periodo di crisi economica.
Da alcuni anni è in essere nella Sanità italiana un malcelato conflitto tra visioni estreme ed opposte della nostra branca. La prima che considera la nostra branca una "nicchia" di conoscenza della medicina che si occupa principalmente di connettiviti in ambiente di terzo livello specialistico, e una interpretazione di pensiero che considera la reumatologia solo come una branca sociale che tratta patologie ad elevata diffusione, principalmente in livello d'assistenza ambulatoriale.
La prima ci attribuisce una competenza solo sulla "stranologia" orfana di specialisti, mentre la seconda ci limita nel trattamento di poche patologie a basso impatto emotivo ed assistenziale, per lo più a larga diffusione nell'anziano, come l'artrosi, l'osteoporosi, etc. Dallo stesso tempo la maggior parte dei reumatologi italiani, quella che quotidianamente la pratica, evita gli estremismi e considera indispensabile la coesistenza e la correzione dei due pensieri. La reumatologia è sia una branca di largo interesse sociale, quanto la branca della medicina che si interessa meglio di patologie più rare a carico dei tessuti connettivi. La sua futura sopravvivenza in un mondo sanitario così complesso quale quello che ci attende è solo quella che prevederà la coesistenza integrata delle due diverse idealità e che saprà proporre alla società italiana una moderna figura di specialista, capace di diagnosticare e curare in modo specialistico tutto il vasto gruppo di patologie non traumatiche, dolorose o non, che coinvolgono l'apparato locomotore ed i tessuti connettivi.
Se osserviamo analiticamente le poche esperienze italiane degli ospedali strutturati per livelli di intensità di cura, ci rendiamo conto di quanto in questa tipologia di assistenza ci sia poco spazio per la reumatologia nell'assistenza delle acuzie e molto nelle attività di primo livello specialistico ambulatoriale, nel trattamento delle disabilità e nella loro prevenzione. Questo non significa che la Reumatologia debba obbligatoriamente scomparire dagli ospedali del futuro, ma solo che se non si vuole che ciò accada dovrà reinventarsi un ruolo a cavallo tra dipartimenti assistenziali medici, del dolore e dell'apparato locomotore, quale branca medica di prima istanza indispensabile per l'individuazione diagnostica e la giusta cura di tali patologie.
Nei prossimi anni dovremo anche sapere formare degli specialisti in pronto soccorso che sappiano distinguere problemi e trattamenti reumatologici e che possano rispondere già in prima istanza, in modalità specialistica, alle tante cause del dolore somato-scheletrico ed alle specifiche condizioni vasculitiche e connettivitiche che pure giungono nei nostri pronto soccorsi, venendone oggi spesso ignorate o mal trattate. Così come dobbiamo preservare spazi di autonomia clinica e di specificità strumentale (capillaroscopia, ecografia, densitometria ossea, etc.).
Dalle pagine della nostra rivista non può non giungere a tutti i nostri lettori un forte invito al rinnovamento della nostra branca dal nostro stesso interno, e uno stimolo a gestire saggiamente un radicale cambiamento della branca. Perciò quanto non mai oggi mi sembra fondamentale e prioritario rispetto a qualsiasi altra esigenza della Reumatologia una sua saggia gestione manageriale.
Tra pochissimo ci ritroveremo a Milano per eleggere il futuro Consiglio Direttivo della Società Italiana di Reumatologia, in seno al quale da almeno 15 anni, sono state rappresentate le diverse componenti. Dobbiamo saper scegliere chi dovrà gestire questo cambiamento dei prossimi anni, individuando chi può al meglio gestire questo cambiamento. Le sue doti non dovranno essere obbligatoriamente solo quelle di studiare le citochine o i fattori di trascrizione intracellulari. Ciò, anche se ammirevole e corretto, non basterà a sostenere la giusta causa della sopravvivenza della nostra branca. Difatti, questo cambiamento che la nuova condizione socio-economica mondiale ci obbliga ad affrontare, richiede persone capaci di cambiare e di gestire questo cambiamento. Individui capaci di promuovere e non di inibire, capaci di servire e non di servirsi della società.
In realtà, quando la precedente presidenza SIR ha rinnovato e rivisto lo statuto, sarebbe stato più corretto considerare e configurare la nostra società italiana di Reumatologia quale una federazione di diverse entità: universitaria, ospedaliera e territoriale, ognuna con la propria codificata rappresentanza e in un alternanza di presidenza rispettosa della dignità reciproca. C'è anche chi la pensa diversamente e limita la SIR a una società scientifica a trasmissione ereditaria tra cattedre, quasi che la conduzione della crescita della specialità sia legata solo alla ricerca, di contro a un più articolato e complesso mondo di conoscenza. Perciò la sua gestione non può riconoscere nel solo "impact factor" un indicatore utile nell'individuare un manager della reumatologia. Fortunatamente è propria questa vecchia, polverosa e monolitica versione che permette al CROI di continuare a esistere come una comunità autonoma e dal futuro in continua e progressiva crescita. Il rifiutare la sua esistenza e il tentativo, ormai fallito, di delegittimarlo, sono i punti deboli di coloro che così pensano.
Ho personalmente la convinzione che continuare però su una strada di reciproca contrapposizione potrebbe portarci in un prossimo futuro su di una via senza ritorno. Potere sopravvivere significherà invece sapere convivere in un momento di estrema difficoltà economica per il vecchio continente. In realtà abbiamo bisogno che le componenti territoriale e ospedaliera debbano saper integrarsi con quella universitaria e viceversa, in una funzionalità assistenziale configurata come una vera rete.
Faccio perciò appello alle persone di buona volontà a non eclissarsi di fronte alle prossime elezioni SIR, di farsi avanti con proposizioni di servizio, di rifiutare pacchetti di "yes-man" pre-confezionati dalle lobby, di evitare di farsi confinare ai margini della reumatologia italiana, in spazi di non rappresentatività e di tenere lontano dai posti di "comando" quanti la pensano in modo poco tollerante, pensando più a piccole beghe personali che alla crescita di una branca ancora non sufficientemente ancorata sul territorio. Questo giornale ospiterà con piacere quanti vorranno esprimere il proprio pensiero in modo costruttivo e rispettoso.
Meditiamo amici lettori, prima che il cambiamento che ci ostiniamo a non volere affrontare ci travolga! Torna all'archivio