Come è cambiata la Reumatologia italiana nell'ultimo decennio
Mercoledi 16 Dicembre 2009
In quest'ultimo Congresso della Società Italiana di Reumatologia, il 46°, svoltosi a Rimini, ancora più evidente di altri anni, la svolta. La Reumatologia in Italia è divenuta davvero una branca moderna, all'avanguardia, sempre più tecnica, ricca di informazioni, di azioni nel sociale. Il suo ultimo Congresso mostra un grosso, maturo sforzo organizzativo, quasi una prova generale del prossimo EULAR 2010 che si terrà per la prima volta in Italia a Roma. Di questo enorme sforzo di crescita va tenuto ben conto e la dirigenza della SIR perciò va sostenuta!
Dieci anni fa noi reumatologi avevamo ben poco di quanto oggi disponiamo quotidianamente sia nei supporti diagnostici che nelle scelte terapeutiche. Dalla SIR 1999 di Cagliari, dove giungevano i primi Coxib, a Rimini 2009, con gli ultimi farmaci biologici per le artriti primarie e la speranza di una terapia mirata con anticorpi monoclonali nel LES e nella SSc, sembra passato un secolo.
Questo perché la Reumatologia Italiana ha fatto passi avanti da gigante in tutti i settori. Nella ricerca e nella sua comunicazione, oggi le riviste internazionali pullulano di lavori italiani. Nell'assistenza sono stati creati tanti nuovi reparti di degenza, sono state attivate molte ore di specialistica ambulatoriale.
Se la Reumatologia non è più una branca dimenticata e derelitta, lo si deve agli uomini ed alle donne che l'hanno cambiata. La SIR ha inanellato, in quest'ultimo decennio, in sequenza cinque ottime Presidenze: Marcolongo, Todesco, Canesi, Bombardieri e Montecucco, così allo stesso modo il Collegio dei Reumatologi Ospedalieri: Trotta, Canesi, Modena, Bianchi, Leardini. Dalla ricerca clinica italiana hanno ormai acquisito dimensione europea moltissimi reumatologi.
Un solo neo in questi anni: la difficoltà a far convivere e collaborare ad un obiettivo comune le due anime, quella universitaria e quella ospedaliero-territoriale, in un rapporto compartecipato di compiuta e riconosciuta parità. Eppure la SIR resta la casa comune di tutti i reumatologi, anche nella loro complessa, analizzata diversità. Se anche una piccola parte ne restasse fuori la società resterebbe incompleta.
Se la Società Italiana di Reumatologia vuole fare davvero il grande balzo in avanti verso la parità con le altre Società nazionali dei maggiori Paesi Europei, deve riuscire ad integrare l'assistenza, la ricerca e la didattica in un solo corpo, dove tutto coesista, sia rispettato, tutelato e sia riconosciuto essenziale. E perché allora non rilanciare ancora l'ipotesi per cui la SIR diventi una democratica federazione di tante minori, ma collegate, società (Unireuma, CROI, etc), come già succede in altre branche?
Il futuro è sempre velocemente alle porte con i suoi problemi, e bisogna non perdere più altro tempo per non farci trovare impreparati all'ulteriore cambiamento che ci verrà proposto. La prima sfida tra tutte è quella di ben coltivare i giovani e di trovare per loro strade occupazionali concrete. Avviare i più dotati in tal senso alla ricerca, formando altri maggiormente all'assistenza clinica. Prima che i migliori vadano via!
Oggi la reumatologia del territorio è affannosamente sostenuta da poco meno di 100 specialisti ambulatoriali, con file di prenotazioni lunghissime, contro un fabbisogno stimato europeo di quasi 600 reumatologi (1). Gli ospedali (2) necessiterebbero, poi, di ben altri numeri di reumatologi rispetto agli attuali 150 circa. Le stesse cattedre universitarie hanno organici ridotti al lumicino e che sopravvivono solo grazie agli specializzandi ed ai borsisti. Dopo la formazione specialistica forse non occorrerebbe attivare più borse di studio che non portano a nulla, se non illusori parcheggi para-universitari, bensì con gli stessi fondi creare posti di ricercatori. E lo stesso serve sul territorio e negli ospedali, investendo i nostri mezzi economici in un progetto di integrazione pubblico-privato, alimentando così gli specialisti sul territorio, creando riferimenti specialistici in ogni reparto di medicina ospedaliera, in misura di almeno uno per provincia, ed ancora strutture autonome di reumatologia nei maggiori ospedali italiani.
Favoriamo l'impiego dei giovani evitandone l'emigrazione in altri paesi. Riequilibriamo la cronica carenza di offerta pubblica - anche nel nostro settore - in Italia meridionale e nelle isole.
Utilizziamo sempre di più i moderni mezzi di comunicazione che ci consentono ora di trasmettere a tutti le novità del settore in tempi brevissimi. Solo così potremmo essere pronti al cambiamento che i tempi già ora ci impongono: essere reumatologi moderni in una Europa "intra pares".
Editoriale di Stefano Stisi
1) Turner G, Symmons D, Bamji A, Palferman T., Consultant rheumatology workforce in the UK: changing patterns of provision 1997-2001. Rheumatology (Oxford). 2002 Jun;41(6):680-4. 2) Kirwan JR., New modes of practice. Curr Opin Rheumatol. 2004 Mar;16(2):125-9.Torna all'archivio