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Artrite reumatoide, vicini ad un test del sangue per predire le recidive?

E’ recente la pubblicazione su NEJM di uno studio condotto sul sangue di pazienti affetti da artrite reumatoide (AR) che avrebbe identificato per la prima volta una nuova tipologia cellulare in grado di predire le recidive di malattia. Stando a questo studio, infatti, il numero di queste cellule, identificate con il nuovo acronimo PRIME (pre-inflammation mesenchymal), andrebbe ad aumentare in modo considerevole durante la settimana precedente la comparsa di recidive di malattia.

Disegno dello studio
Per arrivare a questo risultato, i ricercatori non si sono soffermati direttamente sulle articolazioni colpire da AR ma hanno analizzato, piuttosto, le variazioni che si hanno a livello ematico, responsabili dello sviluppo di una recidiva di malattia.
Di qui l’utilizzo di una tecnica nota come “sequenziamento longitudinale di RNA” – un metodo, detto in maniera molto semplificata, che consente l’analisi dell’espressione genica per lunghi periodi di tempo – per osservare l’esistenza di possibili variazioni durante gli stati di malattia.

L’utilizzo di questo approccio ha messo subito i ricercatori di fronte alla necessità di avere a disposizione un numero consistente di dati. I pazienti con AR avrebbero dovuto essere sottoposti mensilmente a prelievo ematico in ospedale, ma i ricercatori volevano osservare la presenza di variazioni di pattern di espressione genica nel sangue su base settimanale.

Pertanto, per risolvere il problema, hanno sviluppato dei kit pungidito che permettessero ai pazienti stessi di raccogliere campioni ematici al proprio domicilio.

In questo modo, nel corso di un quadriennio, i pazienti hanno spedito i loro campioni ematici al laboratorio di riferimento, riferendo anche della sintomatologia e della eventuale manifestazione di recidive.

I ricercatori hanno analizzato i campioni ematici raccolti alcune settimane prima del peggioramento dei sintomi: “Ciò – spiegano – ci ha permesso di effettuare una ricerca delle “firme trascrizionali” che precedono i sintomi clinici, e di mettere a confronto questi profili di RNA ematico con i dati provenienti dal sequenziamento di RNA sinoviale a singola cellula (scRNA-seq) per determinare se erano identificabili a livello ematico set biologicamente coerenti di trascritti prima dell’insorgenza dei sintomi e se i pazienti avevano cominciato ad avere sintomi”.

Risultati principali
Il primo dato rilevato non è risultato sorprendente agli autori di questo studio: nei campioni ematici raccolti due settimane prima di una recidiva è stato documentato un incremento del numero di cellule B del sistema immunitario (ed è noto che queste cellule attaccano le articolazioni dei pazienti in presenza di AR).

Nei campioni ematici raccolti pochi giorni prima di una recidiva, invece, è stato rilevato un incremento di RNA che non corrispondeva con la “firma genetica” di alcune tipologie note di cellule ematiche o del sistema immunitario, facendo ipotizzare l’esistenza di qualcosa d’altro.

Questa “firma di RNA”, piuttosto che evocare tipologie cellulari di normale riscontro nel circolo sanguigno, tendeva ad evocare, invece, tipologie cellulari dell’osso, della cartilagine o dei muscoli.

Queste cellule di nuova identificazione, denominate PRIME, risultavano essere normalmente presenti solo a livelli ridotti nel circolo sanguigno, per aumentare in modo rilevante a livello numerico prima della manifestazione di una recidiva di malattia e scomparire in concomitanza con la recidiva stessa.

Su queste osservazioni, i ricercatori hanno ipotizzato un modello secondo il quale queste cellule PRIME si attivano, grazie alle cellule B, nelle settimane precedenti l’insorgenza di una recidiva, per poi migrare successivamente al di fuori del torrente circolatorio all’interno della sinovia.

Per quanto la funzione di queste cellule non sia stata ancora chiarita, i ricercatori sono stati in grado di delinearne, quanto meno, alcune caratteristiche: sulla base dei profili di espressione di RNA, è stato osservato come queste cellule assomiglino molto ai fibroblasti sinoviali, all’interno del tessuto che “tappezza” la superficie articolare. E’ probabile, pertanto, che queste cellule PRIME non siano altro che i precursori di questi fibroblasti che, come è noto, giocano un ruolo importante nel causare la sintomatologia associata ad AR.

“Nel complesso, stando ai risultati ottenuti: 1) l’attivazione sequenza delle cellule B attiverebbe le cellule PRIME prima dell’insorgenza di recidive; 2) queste cellule sono evidenti nel corso delle recidive nella sinovia infiammata come fibroblasti infiammatori sinoviali”.

Implicazioni dello studio
Gli scienziati stanno lavorando ad affinare l’identificazione tempestiva di queste cellule PRIME. Un test ematico sviluppato ad hoc per la loro rilevazione, infatti, potrebbe rivelarsi utile, innanzitutto,  per allertare i pazienti con AR dell’imminenza di una recidiva.
Non solo: accertato che la loro presenza gioca un ruolo nel causare le recidive, tale scoperta potrebbe aprile anche le porte allo sviluppo di terapie in grado di ridurre l’infiammazione.

“Per i medici e i loro pazienti, l’avere a disposizione una modalità di intervento prima di una recidiva potrebbe essere sempre meglio che trattare meramente la sintomatologia – sottolineano  ricercatori  -. Se queste cellule sono precedenti alla malattia articolare, ecco che, allora, potrebbero diventare un possibile target di nuovi farmaci”.

Uno dei prossimi step del team di ricerca che ha condotto questo studio consiste nel valutare la predittibilità di recidive in base alla presenza di cellule PRIME su un numero molto più ampio di pazienti. A tal scopo, è già attivo il processo di reclutamento pazienti per il nuovo studio.

NC

Bibliografia
Orange DE et al. RNA Identification of PRIME Cells Predicting Rheumatoid Arthritis Flares. NEJM 2020
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