Marco Broggini
La normale architettura dell'osso viene mantenuta attraverso un meccanismo di riassorbimento dell'osso mineralizzato da parte degli osteoclasti ed una bilanciata formazione di nuovo osso da parte degli osteoblasti. L'equilibrio tra riassorbimento e formazione ossea è sotto il controllo di ormoni, fattori di crescita e citochine. I due mediatori essenziali dell'attivazione degli osteoclasti sono il macrophage colony-stimulating factor (M-CSF) ed il RANK Ligand (RANKL). Il RANKL è una citochina della superfamiglia degli anti-TNF e viene prodotto da vari tipi di cellule, tra i quali gli osteoblasti,i fibroblasti della membrana sinoviale ed i T-linfociti attivati. Il RANKL si lega al suo recettore, RANK, sito sui precursori degli osteoclasti, inducendo l'osteoclastogenesi, e sugli osteoclasti maturi, stimolandone l'attivazione e la sopravvivenza. L'attività del RANKL è ridotta dalla osteoprotegerina (OPG), un recettore naturale che blocca l'interazione tra RANKL e RANK, inibendo così l'osteoclastogenesi ed inattivando gli osteoclasti maturi.
Nell'osteoporosi postmenopausale i cambiamenti che avvengono a livello ormonale portano ad un aumento del RANKL nei confronti dell'OPG, facendo pendere l'ago della bilancia verso un eccessivo riassorbimento osseo, con conseguente fragilità ossea. Anche nella membrana sinoviale dei pazienti con artrite reumatoide (AR) si ritrova un aumento dell'attività del RANKL, che verosimilmente gioca un ruolo chiave nell'attivazione di osteoclasti che causano un rapido riassorbimento dell'osso e degradazione della cartilagine subcondrale calcificata a livello articolare. Le citochine infiammatorie uniscono l'infiammazione cronica alla distruzione ossea in due modi: esse infatti stimolano i monociti ed i precursori degli osteoclasti a passare dal sangue nelle membrana sinoviale e nel contempo inducono le cellule della membrana sinoviale a produrre RANKL.
Dal momento che nei pazienti affetti da AR l'estensione della distruzione ossea correla con il grado di disabilità funzionale , la possibilità di bloccare la formazione di erosioni potrebbe avere delle implicazioni cliniche molto interessanti. In modelli animali di AR si è visto che l'inibizione del RANKl con OPG è in grado di ridurre il numero di osteoclasti nelle articolazioni e di prevenire le erosioni: questi dati dimostrano il ruolo fondamentale del RANKL in questo processo ed indicano le potenzialità terapeutiche del blocco del RANKL nell'AR.
Durante il recente congresso EULAR si è molto parlato del denosumab, un anticorpo monoclonale IgG2 completamente umano diretto contro il RANKL , in fase avanzata di sperimentazione, prodotto dalla Amgen. Si sta studiando questo farmaco in varie patologie ossee, tra le quali l'osteoporosi menopausale, l'artrite reumatoide, nell'osteoporosi da farmaci per il trattamento del cancro della mammella e della prostata e nelle metastasi ossee, per bloccare o rallentare la distruzione dell'osso. Denosumab nell'AR Piet Geusens, dell'università di Maastricht, ha illustrato i dati emersi da uno studio di fase II, multicentrico, randomizzato, in doppio cieco, controllato contro placebo, condotto su pazienti affetti da AR per valutarne la capacità di ridurre o impedire il danno strutturale erosivo (Cohen SB e al. Arthritis Rheum 2008,58(5):1299-1309). Nello studio 227 pazienti con AR attiva lieve o moderata in trattamento con methotrexate e con presenti erosioni furono randomizzati ad assumere methotrexate e placebo sottocutaneo (s.c.) o methotrexate e denosumab s.c. al dosaggio di 60 o 180 mg ogni 6 mesi. Scopo primario dello studio era la valutazione delle erosioni con risonanza magnetica nucleare (RMN) delle mani e dei polsi all'inizio e dopo 6 mesi, mentre scopo secondario era la valutazione delle erosioni secondo lo score Van der Heijde Sharp ai tempi 0, 6 e 12 mesi.
I risultati dello studio mostrano che il denosumab, con entrambi i dosaggi, è stato in grado di inibire la progressione dello score, valutato ogni 6 mesi, delle erosioni rispetto al methotrexate da solo. Dopo i primi 6 mesi il gruppo trattato con il denosumab a 180 mg mostrò una riduzione significativa dello score delle erosioni, valutato con RMN, rispetto al gruppo trattato con solo methotrexate. In particolare a 6 mesi il gruppo con solo methotrexate aveva il 39% di pazienti con erosioni RMN stabili o ridotte, quello con methotrexate e 60 mg di denosumab il 51% e quello con methotrexate e 180 mg di denosumab il 64%.Anche l'indice di Sharp modificato aumentò significativamente con il placebo rispetto al denosumab, statisticamente significativo con denosumab a 180 mg sia a 6 che 12 mesi. In entrambi i gruppi di pazienti trattati con denosumab si ebbe un aumento significativo della BMD ed una soppressione dei marcatori di turnover osseo. Non si registrarono effetti avversi diversi tra placebo e denosumab. Non fu osservata la comparsa di anticorpi neutralizzanti denosumab. Nel complesso quindi lo studio dimostra che la somministrazione semestrale per un anno s.c. di denosumab e di methotrexate è in grado di inibire il danno strutturale e la formazione di erosioni ossee in pazienti con AR, senza effetti collaterali concomitanti. Denosumab nell'osteoporosi menopausale Silvano Adami dell'università di Verona ha invece presentato una relazione sull'uso di denosimab nell'osteoporosi postmenopausale in donne con bassa massa ossea. L'efficacia e la sicurezza di denosumab sono state valutate in due studi clinici di fase III: lo studio DECIDE (Determinig Efficacy: Comparision of Initiating Denosumab vs. AlEndronate) e lo studio STAND (Study of Transitioning from AleNdronate to Denosumab).
Il DECIDE (Brown JP e al J Bone Miner Res 2009, 24:153-161) è uno studio in doppio cieco, randomizzato, che ha coinvolto 1189 donne in postmenopausa, che non avevano mai fatto alcun trattamento per l'osteoporosi, con una bassa BMD , con un T-score al rachide lombare o al femore (totale) uguale o inferiore a 2.
Queste pazienti furono randomizzate ad essere trattate con denosumab 60 mg s.c. ogni 6 mesi o alendronato per os una volta la settimana per 12 mesi. Denosumab incrementò significativamente (p<0,0001) la massa ossea a livello del femore totale, ma anche in tutti gli altri siti misurati (p<0,0002). Denosumab portò anche ad una maggiore soppressione del marker di riassorbimento osseo C-Telopeptide (sCTx) dopo 1 e 6 mesi di trattamento (p<0,0001) e dell'N-Propeptide del procollagene di tipo 1 (P1NP) dopo 1,6 e 12 mesi (p<0.0001) rispetto all'alendronato.
Lo STAND (Roux C e al. Osteoporos Int 2009,20 (Suppl1): Abstract OC22,S10-11) è invece uno studio di fase III in cui è stata studiata l'efficacia di denosumab in 504 donne in postmenopausa con bassa massa ossea, con un TS alla colonna o al femore totale compreso tra -2 e >-4 , già intrattamento con alendronato. Si tratta di uno studio con doppio trattamento attivo, in doppio cieco, randomizzato, della durata di un anno; in un braccio dello studio le pazienti hanno proseguito il trattamento con alendronato 70 mg per os la settimana, nell'altro hanno sospeso l'alendronato e sono state trattate con denosumab 60 mg s.c. ogni 6 mesi.
Sono stati osservati dei miglioramenti significativi della BMD nelle pazienti che erano passate al trattamento con denosumab, rispetto a quelle che avevano proseguito il trattamento con alendronato, in tutti i siti misurati. La maggiore efficacia di denosumab, rispetto ad alendronato, è verosimilmente dovuta al diverso meccanismo d'azione . La sicurezza dei due farmaci invece si è dimostrata paragonabile come effetti collaterali; in particolare non è stata documentata la formazione di anticorpi neutralizzanti denosumab. Le pazienti hanno inoltre mostrato una maggiore compliance e soddisfazione con denosumab rispetto ad alendronato, fatto questo molto importante se si pensa che la compliance è uno dei più seri ostacoli nella lotta contro l'osteoporosi.
Torna all'archivio